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IL POPOLO DEI MIGRANTI

Il popolo dei migranti”. E’ con questa espressione che Domenico Quirico ha voluto identificare uomini, donne e bambini provenienti da tutto il mondo, che si sono adattati a una vita priva di qualsiasi punto di riferimento e caratterizzata da un eterno viaggio verso una destinazione sconosciuta. Questo “popolo” ha acquistato una fisionomia propria, una non-identità culturale, andando a formare ciò che possiamo definire come il più grande sconvolgimento sociale del nostro tempo. Proprio perché quello dei migranti è un fenomeno globale, che non coinvolge soltanto le nostre coste (o peggio, solo quelle di un’isola), è necessario da parte di tutti i paesi europei un approccio di tipo sovra-nazionale e comunitario, che superi l’inefficace protezionismo nazionalista, verso la risoluzione di un dramma che ogni giorno è sempre più vicino alla nostra vita quotidiana. Entrando nel merito della realtà mediterranea, il Ministro dell’Integrazione Cecile Kyenge ha da poco scritto un libro che ci descrive la sua visione del fenomeno, la sua esperienza personale e ci indica la “giusta” strada politica da percorrere affinchè si possa considerare l’immigrazione non più come un problema, ma come una risorsa, e quindi agire di conseguenza. Ricomponendo i diversi e interessanti spunti dell’intervista al Ministro che ha avuto luogo il 18 Febbraio (insieme a Domenico Quirico e Sergio Chiamparino), emerge una visione dell’argomento che consiglia di partire da una politica di cooperazione internazionale (Europa in primis) che tenga conto delle diversità territoriali, e che quindi prenda spunto della realtà locale per ripercuotersi su di essa. L’esempio più brillante viene fornito da Sergio Chiamparino, che citando lo slogan dei coloni americani nel XVIII secolo, “No taxation without representation”, suggerisce il voto come un grande farmaco integrativo, in quanto vi sono immigrati che lavorano e pagano le tasse allo Stato italiano, i quali, se fosse permesso loro di votare (almeno, dice Chaimparino, alle elezioni amministrative), contribuirebbero maggiormente al rispetto delle leggi che loro stessi si propugnano di avvalorare con il voto. Inoltre, sostiene la Kyenge, bisogna considerare l’integrazione come interazione di diversi individui e diverse entità culturali, che non si annullino a vicenda ma che arricchiscano e coloriscano il nostro Paese, anche con la reintroduzione dell’educazione civica nelle scuole. In questo modo si renderebbero le nuove generazione più consapevoli del proprio patrimonio nazionale, e meno soggette a istigazioni di odio razziale e xenofobia, che sono frutto del mancato assimilamento dei precetti e dei valori della Costituzione italiana. In definitiva, ciò che si esorta, è un vero cambiamento di approccio nei confronti di una situazione che non è né semplice né estranea alle nostre coscienze. Infatti, indagando sulle cause, è facile scoprire che le persone che fuggono dalla propria casa, non se ne stanno andando da un paese verso cui Dio è stato inclemente, dotato di una terra infertile e di una popolazione tremendamente bellicosa: se ne stanno andando da un territorio che noi europei abbiamo contribuito a distruggere! Quindi, poiché in parte siamo noi i responsabili, è giusto che ognuno si faccia carico di un compito che, se svolto bene nella piccola realtà (quartiere, circoscrizione, comune ecc..), può avere grandi ripercussioni sul mondo intero. Bisogna farlo in fretta, con il giusto senso di responsabilità, ricordandoci che dipende esclusivamente da noi: “L’errore, caro Bruto, non è nelle stelle, ma in noi stessi!”.

Yannick Deza
GDTO

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