Giorno:
mercoledì 26 febbraio. Ore:
10.30 del mattino. Luogo:
Tai Hong Street (Hong Kong). Arma
dell’aggressione: lama di 16 centimetri.
Lesioni riportate:
lacerazione dei muscoli e tendini di gambe e schiena. Se l’è
cavate bene, tutto sommato.
Qualche mese di ospedale, due anni di
invalidità e cicatrici permanenti. E’ questo il prezzo da pagare
quando si diventa un personaggio “scomodo”, ma soprattutto quando
di mezzo ci sono le Triadi, i magnati finanziari e il governo cinese.
Un’inchiesta giornalistica sul giro di corruzione negli appalti per
la costruzione dell’alta velocità cinese (altro che TAV), è
costata a Kevin Lau, non
solo parecchi mesi di mutua assicurata, ma ancor prima, il posto di
direttore nella redazione del suo giornale, il Ming
Pao, uno tra i più popolari di Hong Kong.
Che il suo licenziamento, seguito dal tentato omicidio, abbiano un
collegamento con la sua attività da giornalista, è facilmente
comprensibile. Non lo è però, il contesto nel quale ha operato:
Hong Kong, la tigre asiatica, la cui storia si lega inevitabilmente
alle tristi vicende del nostro ex-direttore.
L’immagine di Hong Kong
ci affascina non solo per i landscapes
dei grattacieli illuminati, ma soprattutto perché è ciò che meglio
incarna il perfetto incontro tra Oriente e Occidente. Infatti, dal
1842, questa regione è stata di proprietà degli inglesi, che vi
hanno esportato il sistema giuridico del Common
Law e il modello economico liberale, il che
ha contribuito alla crescita produttiva della regione fino a farla
diventare uno tra i centri finanziari più importanti al mondo, con
un reddito medio pro-capite di 41.000 dollari (di poco sotto gli USA
) e con il sistema dei trasporti pubblici più efficiente e con
maggiore affluenza al mondo. L’esperienza colonizzatrice britannica
ha anche infuso nella sua Costituzione norme moderne sulla libertà
di stampa e sui diritti civili, che sono state rispettate più o meno
regolarmente dal governo locale fino al 1997, anno in cui Hong Kong è
diventata una “regione amministrativa speciale” all’interno
della più ampia Repubblica Popolare Cinese. Nonostante alcuni dei
problemi della regione tutt’oggi esistenti, quali le difficili
condizioni di salute, gli eccessivi prezzi nel mercato immobiliare e
la disparità tra ricchi e poveri fossero rilevanti anche prima del
suo ingresso nel blocco cinese, sembra che dal 1997 la situazione
stia man mano precipitando fino a conformarsi ai canoni di ordine
pubblico, censura e dispotismo, peculiari del governo cinese e finora
estranei allo stile di vita liberale degli abitanti di Hong Kong. La
formula “uno stato, due sistemi” che viene decantata dal governo
cinese per sottolineare l’indipendenza della regione, appare poco
credibile quando, a causa di un sistema elettorale difettoso, la Cina
si trova a controllare la metà del suo Consiglio Legislativo
(corrispondente del Parlamento) e la nomina del Capo di Governo. E se
già questo ci convince poco sull’effettiva indipendenza di Hong
Kong dalla Cina, basta guardare i dati sull’informazione e sulla
libertà di stampa per rimuovere ogni dubbio al riguardo.
All’inizio
degli anni novanta, Hong Kong era al 16° posto al mondo per libertà
di stampa, mentre nel 2002 (a cinque anni dall’ingresso nel blocco
cinese) è scivolata al 64° posto. Per fornire un’idea su quanto
siano realmente importanti i mezzi di comunicazione nel luogo, e in
particolare i giornali, basti sapere che ci sono 25 testate
giornalistiche che vendono 3 milioni di copie al giorno, su una
popolazione di 7 milioni di persone (in Italia, su una popolazione di
60 milioni di persone, vengono venduti 4 milioni di giornali al
giorno). Da quando la Cina si occupa degli affari di Hong Kong, molti
direttori di giornali, di radio e di canali televisivi sono stati
innalzati a cariche pubbliche, e i loro giornali hanno ricevuto
ingentissimi finanziamenti, mentre altri come l’Apple
Daily, dichiaratamente contro le politiche
del governo, ha perso in un solo anno 20 milioni di finanziamenti
pubblicitari. L’escalation anti-democratica che ha visto
protagonista Hong Kong negli ultimi 20 anni, non è stata accolta con
indifferenza, ma è stata notevolmente contestata a partire dall’1
Luglio del 2013, dove all’anniversario dell’annessione
dell’arcipelago alla Cina il discorso del presidente cinese Hu
Jintao è stato accompagnato da una manifestazione che ha raccolto
64mila persone. Persino qualche settimana fa, 13mila tra giovani,
professori e giornalisti hanno manifestato al seguito della Press
Coalition Against Violence in favore di un ripristino dell’ormai
perduta libertà di stampa. Che la vicenda del nostro sfortunato ma
coraggioso giornalista Kevin Lau abbia dato un impulso verso
un’opinione pubblica più consapevole e informata, è un dato di
fatto. Ciò che appare meno scontato però, è che terminato il suo
periodo ospedaliero, Lau finirà di pubblicare tutto il dossier
riguardante l’inchiesta sull’alta velocità cinese. Ed è per
questo che voglio che storie come questa vengano raccontate, al fine
di ricordarci sempre di avere una penna in
mano per raccontare la verità senza paura, perché la la libertà
non ha paura e non concede favori.
Yannick Deza
GDTO
Commenti
Posta un commento