"Condizione
di nobiltà
morale in cui
l’uomo
è posto dal suo grado,
dalle sue intrinseche qualità,
dalla sua stessa natura di uomo, e insieme il rispetto che per tale
condizione gli è dovuto e ch’egli
deve a sé stesso".
Questa
è la definizione di dignità che viene fornita dal vocabolario
Treccani. La suddetta parola è diventata motivo di scontro nella
scelta di Brittany Maynard di porre fine alla sua vita, già
destinata a terminare a causa di un tumore al cervello che l'avrebbe
portata entro pochi mesi a morire tra gravi sofferenze. L'altra voce
entrata in causa è quella del Vaticano che, dovendo rispettare il
proprio Credo ha deciso di scagliarsi contro questa scelta giudicando
senza mezzi termini l'atto in questo come qualcosa di assolutamente
privo di dignità.
La
questione però credo sia molto più delicata e profonda rispetto
alla difesa del valore della vita. Infatti, se Brittany avesse scelto
di morire in altre circostanze, qualche dubbio in più lo avrebbe
fatto venire a chiunque. Qui, però stiamo parlando di vita a
termine, di una morte già annunciata che avrebbe portato dolore e
sofferenza che di certo non si possono neanche immaginare se non
provate sulla propria pelle.
Riprendendo
la definizione del vocabolario, una parola salta agli occhi come
quella fondamentale in questa vicenda: rispetto. Il fatto di
scagliarsi contro la decisione difficile di una donna che ha
semplicemente scelto di anticipare la sua inevitabile morte e di
rendere pubblica la sua scelta senza vergognarsi, porta a non avere
rispetto dell'uomo e delle scelte che consapevolmente compie per
evitare sofferenze inutili a se stesso, ma soprattutto ai propri
cari.
Provate
ad immaginare la differenza tra una morte inconsapevole, tra
antidolorifici e medicinali, su un anonimo letto di ospedale, dopo
che i lineamenti del volto sono stati trasfigurati dalla malattia
rendendo una persona quasi irriconoscibile ai suoi cari che hanno
dovuto soffrire fino all'esalazione dell'ultimo sospiro. Ora provate
ad immaginare Brittany, nella casa dalle pareti gialle nell'Oregon,
al fatto che abbia salutato tutti con aria risoluta e convinta, che
abbia scelto che vestiti indossare e che cosa guardare fuori dalla
finestra prima di lasciare questo mondo (un tramonto forse?).
Questo
è ciò che vedo io, ed è la semplice posizione di una cittadina che
merita rispetto, come merita rispetto chi decide invece di attendere
l'inevitabile. Però bisogna smettere di nascondersi dietro ad un
dito ed iniziare a parlare di testamento biologico e suicidio
assistito anche in Italia. Bisogna farlo in maniera seria e
consapevole evitando pregiudizi da una parte e dall'altra per
consentire a tutti il diritto di vivere in maniera dignitosa la fine
della propria vita, se tanto essa è già destinata per una
disgrazia, ad essere al termine. Sicuramente la mia voce si scontrerà
con chi professa una Fede che vede nel suicidio l'atto peggiore che
un uomo possa compiere contro se stesso e contro il dono della vita,
ma la mia opinione ha pari dignità e la questione merita attenzione.
Discutere senza giudicare è vero atto di dignità.
Cristina Imoli
GDTO
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