Prosegue il nostro ciclo di interviste (se vi siete persi le altre, potete trovarle cliccando l'etichetta "interviste GD" in fondo alla pagina). Oggi parliamo di Europa con la parlamentare europea Mercedes Bresso, già Presidente della Regione Piemonte e successivamente Presidente del Comitato europeo delle Regioni.
Il
Parlamento Europeo ha da poco elaborato una proposta di modifica
della legge elettorale per le istituzioni comunitarie. Condivide
questa proposta? E in che modo dovrebbe migliorare il rapporto tra le
istituzioni europee e i cittadini?
Io la condivido.
Questo è uno dei due casi in cui il Parlamento ha l'iniziativa
legislativa, che di solito è della Commissione, però poi dev'essere
votata anche dal Consiglio. La Commissione Affari costituzionali di
cui faccio parte e di cui sono coordinatrice per gli S&D
(Socialisti e Democratici, il gruppo parlamentare del Partito
Socialista Europeo di cui anche il Pd fa parte, n.d.R.) ha
elaborato una proposta realistica perché è dal 1976 che il
Consiglio rifiuta di prendere in considerazione le proposte del
Parlamento Europeo. Questa volta, invece di presentare una proposta
completamente nuova, com'era quella di Andrew Duff la volta scorsa,
che il Consiglio ha rigettato, abbiamo lavorato sulla legge esistente
proponendo emendamenti legislativi su questioni che riteniamo
importanti. Una questione importante era quella di consolidare le
procedure dello Spitzenkandidaten, cioè della candidatura ufficiale
per la Presidenza della Commissione, che la volta scorsa è stata
indicata dai partiti europei prima delle elezioni. Non potendolo
inserire come obbligo perché è una legge elettorale del Parlamento,
abbiamo però previsto che i partiti europei indichino i candidati
alla Presidenza della Commissione al massimo 12 settimane prima delle
elezioni.
In secondo luogo,
abbiamo introdotto una soglia di sbarramento del 3-5% per i
partiti per essere rappresentati alle elezioni europee,
meccanismo già presente sia da noi sia in Francia, ma assente in
Spagna e soprattutto in Germania, dove la Corte costituzionale aveva
bocciato la soglia, mentre nei Paesi più piccoli funge già
implicitamente da soglia il basso numero di parlamentari da eleggere.
Tutto questo per evitare l'ingresso di partitini contro tutto e
contro tutti che c'entrano poco con l'Europa e spesso si vendono ad
altri gruppi per cercare di avere il potere di veto politico.
Abbiamo inoltre
introdotto l'obbligo di equilibrio di genere; per la verità lì
abbiamo perso su un emendamento che prevedeva le liste alternate e
avrebbe reso praticamente sicura la parità di genere, in quanto
quasi ovunque in Europa le elezioni europee sono a liste bloccate e
non con preferenze. Però è chiaramente indicato che si devono
utilizzare degli strumenti per rendere effettiva la parità di
genere.
Abbiamo introdotto,
ma non è un vincolo immediato, la richiesta di considerare il
voto a 16 anni e di creare le condizioni per il voto elettronico e il
voto per posta, in modo da rendere più facile il voto per i
cittadini, ormai tantissimi,che sono fuori dal proprio Paese di
origine. Tutto questo però migliorando i controlli attraverso
un'unica autorità elettorale europea e lo scambio di informazioni
tra Paesi, per evitare che le persone votino due volte.
Un'altra norma
molto importante è quella di affiancare il simbolo del partito
politico europeo di cui si fa parte a quello del partito nazionale
sulla lista e sulla propaganda elettorale, per dare veramente il
senso di una campagna elettorale europea. Poi ci sono una serie
di altre cose minori volte a omogeneizzare il sistema elettorale,
come per esempio finire tutti alla stessa ora, progressivamente
andare verso lo stesso giorno elettorale, ma comunque non emanare i
risultati prima della chiusura dei seggi in tutti i Paesi.
Abbiamo indicato
come possibilità per il Consiglio di introdurre con voto unanime
una lista transnazionale. I cittadini eserciterebbero un doppio voto,
il primo per eleggere i rappresentanti del proprio Paese e poi un
secondo voto per eleggere i deputati di una lista transnazionale che
potrebbe essere di 30 parlamentari. I partiti dovrebbero far
guidare queste liste dai candidati alla Presidenza della Commissione.
Questo evidentemente darebbe il senso di una battaglia politica
europea. Abbiamo puntato molto su garanzie per donne, giovani,
migranti eccetera ma soprattutto sul dare una forte caratterizzazione
politica alle elezioni europee perché pensiamo che questo sia il
modo per rendere un po' più appassionante il voto europeo.
Si
sta pensando in questi mesi di fare anche dei passi in avanti in
direzione di una vera difesa comune europea. Può essere la volta
buona? Quali sono gli ostacoli al perseguimento di questo obiettivo?
Potrebbe essere la
volta buona per diversi motivi che hanno reso evidente ai cittadini
europei la necessità di rafforzare la nostra capacità di difesa:
la crisi dei rifugiati, le sfide di politica estera nell'immediato
vicinato, la lotta al terrorismo, ecc... Lo stesso Obama ricorda agli
Europei che tocca anche a loro curarsi della propria difesa.
Attualmente da un
lato il PPE ha preso in mano questa battaglia producendo un documento
di buona qualità, e l'impegno del più grande partito europeo su
questo tema è importante. Anche noi come S&D abbiamo
cominciato a lavorarci e siamo maggioritariamente a favore, anche
se alcuni Paesi come la Svezia o l'Austria hanno una tradizione di
neutralità e quindi hanno delle difficoltà a ragionare in questi
termini.
Si può operare
già dentro i trattati, attraverso la cooperazione cosiddetta
strutturata, creando tutta una serie di strumenti che
progressivamente integrino le difese dei diversi Stati europei,
cominciando a creare una guardia comune di frontiera, mettendo
insieme la ricerca e l'innovazione, mettendo insieme dei corpi
speciali, e rafforzando l'agenzia europea per la difesa.
Io credo che ci
siamo vicini ma che si dovrà fare senza alcuni Paesi, per esempio la
Gran Bretagna che ha già detto con chiarezza che non vuole, e
quindi potrà magari partecipare ma sempre con il suo optout, lo
vedremo.
Comunque io penso
che potremmo farcela usando lo strumento della cooperazione
strutturata tra i Paesi che ci stanno.
A proposito di
Gran Bretagna, il Primo Ministro britannico David Cameron ha appena
posto le condizioni per la permanenza del Regno Unito nell'Unione
Europea. Secondo Lei, su queste condizioni è seriamente possibile
trattare? E come valuta la prospettiva di una Brexit?
Allora, la
prospettiva della Brexit esiste come accidente. Cameron, che non
vuole l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea, ha lanciato
una sfida per vincere le elezioni politiche. Adesso è obbligato a
fare questo referendum, e si rende conto che la situazione è
difficile, perché la campagna antieuropea è molto forte in Gran
Bretagna. Potrebbe avvenire che il voto contro l'Europa ottenga la
maggioranza perché alla fine Cameron si trova costretto a dire che
non ha avuto quello che voleva e addirittura a proporre il sì
all'uscita oppure perché magari non riesce a convincere i propri
elettori.
Rispetto
a quello che propone, ho qui un commento, che si chiama
“Deconstructing
Cameron (again)”, scritto da Richard Corbett,
un nostro collega inglese del gruppo S&D, uno studioso di diritto
europeo, che quindi conosce bene le cose. Questo
documento dimostra sostanzialmente che nella maggior parte dei casi
le cose richieste da Cameron sono già dentro ai trattati.
Ad esempio, ci sono
già due tipologie di membership dell'Unione Europea, con la
possibilità di essere dentro o fuori Schengen, oppure dentro o fuori
l'euro. Certo, l'euro è la moneta dell'Unione Europea ma si dice
anche subito dopo nel trattato che ci sono alcuni Paesi, tra cui la
Gran Bretagna, che hanno altre monete e sono autorizzati a non
entrare mai nell'euro.
Quando Cameron
dice che non devono essere obbligati a entrare nell'Unione bancaria è
già scritto che quelli non dell'area euro possono entrare
nell'Unione bancaria solo se vogliono. La stessa cosa che i
contribuenti inglesi non devono pagare per eventuali operazioni a
supporto dell'Eurozona, è già così, sono gli Stati dell'area euro
che finanziano le operazioni nell'Eurozona.
Poi per quanto
riguarda il mercato unico in realtà non è ben chiaro cosa vuole:
noi stiamo già lavorando tutti con il loro supporto a rafforzare il
mercato unico perché è una cosa molto importante per l'Europa. C'è
poi la questione della sussidiarietà, tema legato alla sovranità:
la even closer union dice sì che si può andare verso una sempre più
forte unione, ma in questa unione le decisioni devono essere prese il
più possibile vicino ai cittadini in accordo con il principio della
sussidiarietà, tant'è vero che adesso si sta lavorando a una
legislazione che vada in questo senso, riportando verso gli Stati e
gli enti locali ciò che magari un po' si è accatastato in normative
europee quindi è una cosa su cui già si sta lavorando.
Sulla questione del
cartellino rosso per i Parlamenti esiste già il cartellino
arancione con il quale possono bloccare una norma proposta dalla
Commissione, segnalando che non corrisponde al principio di
sussidiarietà, cioè che sta debordando rispetto alle competenze
dell'Unione, è stata usata due volte in tutto su cose di poca
importanza. Inoltre, com'è noto le leggi europee sono votate dal
Parlamento Europeo e dal Consiglio dei Ministri, formato dai Ministri
competenti dei diversi Stati europei, responsabili di fronte ai
rispettivi Parlamenti, quindi è del tutto evidente che basta dare un
mandato al proprio Ministro per esercitare il diritto di veto. I
Tedeschi lo usano frequentemente.
Sulla questione dei
migranti, in Gran Bretagna la maggior parte degli immigrati viene da
fuori dall'Unione, i dati dicono che ci sono altrettanti inglesi
nell'Unione Europea di quanti ci siano cittadini europei di altri
Paesi in Gran Bretagna, e quindi in realtà non c'è un'invasione del
Regno Unito da parte degli altri europei. In secondo luogo gli
immigrati prendono meno servizi di quello che pagano come contributi
perché poi spesso vanno via e restano i loro contributi lì e non li
riceveranno mai indietro quindi non esiste un disequilibrio
dimostrabile nel welfare inglese a vantaggio degli immigrati, anzi.
Quindi in sostanza
Cameron sta facendo un'operazione di facciata, cercando di
sollecitare dei bassi istinti e chiedendo alla fine cose che sono in
realtà già possibili all'interno dei trattati. Ora, il problema è
che non c'è molto contenuto e quindi sarà difficile per Cameron
spiegare di avere ottenuto grandi risultati e convincere i cittadini
britannici a votare per il no all'uscita, vedremo anche come sarà la
domanda – probabilmente sarà “sì, restate nell'unione” perché è più bello fare campagna per il sì - quindi il vero rischio è
che la gente magari si faccia convincere dagli argomenti virulenti e
cattivi di altri. Noi come europei cercheremo ovviamente di
trovare una formula che non limiti alcuni principi fondamentali, come
la libera circolazione dei lavoratori, sul resto alla fine non è
difficile dirgli di sì perché è già così.
Se la Gran
Bretagna resterà nell'Unione, io credo che finiremo per dover
organizzare davvero l'Europa su due livelli, con una prima Europa,
sostanzialmente quella della zona euro, che poco a poco raggrupperà
tutte le maggiori competenze europee, e un'Europa di un secondo
livello, una sorta di membership associata. Questo permetterebbe
anche di far entrare altri, facendo procedere un po' più in fretta
chi invece vuole andare avanti nel processo unitario.
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