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Direzione Europa: intervista a Brando Benifei




Abbiamo intervistato l'europarlamentare Pd Brando Benifei, per cercare di inasprire maggiormente il suo già impressionante carico di lavoro. Attraverso il suo operato possiamo osservare una parte importante dell'attività dell'Europarlamento e, una volta di più, ricordare che le istituzioni europee sono vive, vegete e attive, e che inconcludenze e rallentamenti dipendono spesso dagli egoismi nazionali, cui la dimensione intergovernativa lascia ancora troppo spazio in seno al dibattito unionista.


-L'UE è il più grande importatore di energia al mondo: dal nostro continente ogni anno escono 400 miliardi che vanno ad arricchire i grandi oligopolisti dei combustibili fossili. I prezzi dell'energia in Europa sono del 30% superiori rispetto a quelli statunitensi; il 94% dei trasporti dipende dai prodotti petroliferi che per il 90% sono importati. Quali sono e quanto stanno funzionando le politiche messe in campo dall'UE per produrre in Europa energia pulita?

Nel novembre 2016 la Commissione Europea ha presentato il pacchetto “Clean Energy for All Europeans”, una serie di proposte legislative per guidare la transizione energetica al 2030. Il pacchetto include una modifica alle direttive sulle Energie Rinnovabili, che ad oggi prevede un target del 20% di energie rinnovabili sul consumo finale di energia a livello europeo da raggiungere entro il 2020. È generalmente riconosciuto che questa direttiva ha contribuito a rendere l'UE il leader nelle tecnologie dell'energia rinnovabile e gli ultimi report sottolineano come la grande maggioranza degli Stati Membri sia sulla buona strada per rispettare questi impegni declinati in obblighi vincolanti per tutti i paesi.
La proposta della Commissione, che dovrà passare l’esame di Consiglio e Parlamento Europeo, prevede un obiettivo UE del 27% di energia da fonti rinnovabili sui consumi finali al 2030 (obiettivo che non sarebbe più declinato in obblighi vincolanti per gli Stati). Questa proposta è da più parti considerata non sufficientemente ambiziosa e il Parlamento Europeo ha più volte esortato la Commissione a presentare target più alti e giuridicamente vincolanti per gli Stati.
Il pacchetto “Clean Energy for All Europeans” prevede poi una profonda revisione delle regole che disciplinano i mercati europei dell’energia elettrica. È importantissimo configurare un mercato sufficientemente flessibile ed integrato, che possa remunerare in modo appropriato quei consumatori virtuosi che decidono di autoprodurre e limitare i propri consumi, un mercato che possa inoltre assorbire una quota rilevante di energia prodotta da fonti rinnovabili. Un mercato completamente integrato permetterebbe idealmente a tutta Europa di beneficiare della produzione di energia da fotovoltaico installata nel sud del continente e, quando per motivi meteorologici questa non è disponibile, approfittare dell’eolico installato nel mare del nord. Ciò ridurrebbe i prezzi dell’energia, renderebbe l’Unione più indipendente dalle importazioni fossili e ridurrebbe le emissioni di gas serra.
L’integrazione di una quota maggiore di energia da fonti rinnovabili passa però necessariamente attraverso il progressivo smantellamento di alcuni impianti di generazione “fossile” e dei sussidi che ad oggi gli sono garantiti. La proposta, presentata lo scorso novembre dalla Commissione, rappresenta un primo passo in questa direzione e prescrive, in particolare, che solo gli impianti che emettono meno di 550 g di CO2 per kWh possano ricevere sussidi legati alla garanzia dell’approvvigionamento elettrico (c.d. Capacity Mechanism). Questa norma, che passa ora al vaglio di Parlamento e Consiglio, è però osteggiata da molti paesi che, per ragioni storiche, dispongono di centrali desuete ed inquinanti e non hanno disponibilità economica per rinnovare il proprio parco di generazione.

-Quali sono le principali politiche europee, in atto o in programma, rivolte ad alleviare la disoccupazione giovanile?

L’Unione europea ha messo in campo un’importante azione di lotta alla disoccupazione giovanile nel momento più difficile della crisi economica. La Garanzia Giovani e l’Iniziativa per l’Occupazione Giovanile sono due degli strumenti principali. Si tratta di due misure parallele e complementari, anche se spesso vengono confuse tra di loro, che hanno come obiettivo quello di intervenire in maniera strutturale per facilitare la delicata fase di transizione che intercorre tra la fine del ciclo educativo e l’ingresso nel mercato del lavoro. Garanzia Giovani è un programma che impegna gli Stati membri dell'UE a garantire che tutti i giovani di età inferiore ai 29 anni possano ottenere un'offerta qualitativamente valida di impiego, formazione permanente, apprendistato o tirocinio. L’iniziativa per l'occupazione giovanile (YEI) mira a fornire un sostegno diretto ai giovani che non si trovano né in situazione lavorativa, né seguono un percorso di studi o formativo (NEET) e che vivono nelle regioni in cui la disoccupazione giovanile si attesta sopra al 25%. Due programmi importanti, ma non perfetti. La Commissione europea punta molto su questo strumento che ha tra i suoi meriti piú grandi quello di forzare una modernizzazione delle amministrazioni pubbliche e dei servizi per l’impiego, investendo sulla riorganizzazione delle politiche attive per l’impiego. Negli ultimi anni, e anche nel nostro paese, sono state sollevate severe critiche, in molti casi assolutamente legittime, al modo in cui i programmi di Garanzia Giovani sono stati messi in atto negli Stati Membri, in particolare con riferimento alla qualità delle offerte rivolte ai giovani, alla lentezza dei rimborsi, all’eccessiva burocraticitá delle sue procedure. Io sono relatore per il Gruppo S&D al Parlamento europeo su questi dossier e lavoro quotidianamente con organizzazioni giovanili e sindacali per potenziare e correggere questi due importanti strumenti che devono essere messi al servizio dei tanti ragazzi e ragazze che, giustamente, confidano in un aiuto dall’Unione europea in una fase così delicata del loro percorso di crescita.

Vi sono poi una serie di politiche e programmi esistenti, che mirano a sostenere la formazione continua dei giovani, la loro mobilità attraverso l’Europa (anche grazie ad una maggiore armonizzazione dei quadri di riconoscimento delle qualifiche) e l’aumento della loro occupabilitá. Non aggrediscono in maniera strutturale la disoccupazione giovanile (per questo sono nate YEI e YG), ma costituiscono certamente uno sforzo importante per la “circolazione” dei giovani in Europa e la creazione di un mercato del lavoro europeo.
Faccio alcuni esempi.
Il “nuovo” Erasmus plus rappresenta un buon esempio della nostra strategia: avviato come progetto pilota per scambi fra gli studenti universitari, oggi ha espanso il suo ambito di azione e beneficia di 14,7 miliardi di euro per il periodo 2014-2020. Finanzia l'istruzione e la ricerca, la formazione permanente, la gioventù, lo sport, la cooperazione internazionale per i giovani. Beneficiari delle varie azioni organizzazioni giovanili, studenti, giovani lavoratori e giovani imprenditori (Erasmus for Young Entrepreneurs). All'interno del programma vengono sperimentate nuove azioni. Ad esempio, è stato lanciato un nuovo regime di prestiti per i giovani che desiderano intraprendere un master all'estero; la Spagna sarà il primo paese a utilizzare questa struttura, ma siamo sicuri di un'ulteriore partecipazione di altri Stati membri.
Il "primo lavoro EURES" come progetto pilota nell'ambito del pacchetto Gioventù in movimento è un altro esempio: un programma di mobilità il cui obiettivo è quello di sostenere i giovani ad inserirsi nel mercato del lavoro in un altro Stato membro.
Dal 2013 è stata istituita l'Alleanza Europea per l'Apprendistato, mentre la Raccomandazione del Consiglio su un Quadro di Qualità per i tirocini mira a facilitare l'apprendimento di qualità e le condizioni di lavoro equo.
Su questo argomento, vorrei presentarvi due ulteriori informazioni. Per quanto riguarda i tirocini, l'Intergruppo Politiche Giovanili, di cui sono Co-Presidente, ha lanciato una campagna chiamata #fairinternship, con la quale vogliamo vietare i tirocini non rimborsati all’interno delle istituzioni europee e aprirci al grosso movimento della società civile che in tutta Europa lotta per migliorare le condizioni dei tirocinanti e degli stagisti.
Sul tema dell'apprendistato, vorrei sottolineare che grazie all’impegno personale mio e di un gruppo di colleghi di altri paesi, è stato approvato un nuovo progetto pilota che vede già avviata per il 2017 la sua seconda fase di realizzazione: “Erasmus PRO”. Abbiamo l'obiettivo di estendere la logica "Erasmus" ad altre categorie sociali oltre agli studenti universitari. I dati infatti dimostrano che le imprese identificano come fattore fondamentale ai fini dell’assunzione anche lo sviluppo delle cosiddette “soft skills”, le competenze trasversali, e identificano negli scambi transnazionali un ottimo veicolo per l’apprendimento di tali competenze. Stiamo dunque creando la rete territoriale per sostenere gli scambi e le esperienze transnazionali di sei mesi anche per i giovani impegnati in un apprendistato o un tirocinio.

-Fonti ufficiali dell'UE riportano che sfruttando appieno le possibilità di crescita del mercato interno sarebbe possibile aggiungere più dell'11% al PIL dell'Unione. Quali misure bisognerebbe concretamente adottare per raggiungere un tale risultato?

La stima menzionata si riferisce a uno studio commissionato dall’agenzia di ricerca del Parlamento europeo che vuole analizzare il potenziale costo del non-completamento del mercato interno per l’economia dell’Unione. Più precisamente, viene segnalato come i “costi della non-Europa” nel mercato interno sarebbero comprendenti tra 651 miliardi e 1.100 miliardi di euro annui, equivalenti a circa 5 o 8,6 punti percentuali del PIL UE. Per il suo completamento o piena realizzazione, ma anche il miglior funzionamento del mercato interno, sono necessari interventi normativi su alcune importanti ambiti, oggi in discussione nelle istituzioni UE, tra cui sfruttare appieno il potenziale del libero movimento dei beni – siamo già ad uno stato molto avanzato, ma sono necessari ulteriori passi in avanti; un più integrato mercato interno dei servizi; il completamento del mercato digitale europeo, tramite il miglioramento delle infrastrutture digitali e telecomunicazioni, dei servizi online, lo sviluppo settore e-commerce, e-government, economia collaborativa, piattaforme online.; migliore regolamentazione del sistema di appalti pubblici transfrontalieri e una normativa che miri ad aggiornare costantemente, al rialzo, la piena protezione dei consumatori a livello EU.

-Moneta più competitiva per aumentare esportazioni e occupazione, emanciparsi dalle regole di bilancio e di altra natura per togliere una zavorra alla crescita, risparmiare i miliardi attualmente destinati al bilancio dell'Unione. Questo, in tre mosse, è il mantra di ogni anti-europeista che si rispetti: lei come cercherebbe di convincerlo a cambiare il proprio giudizio sull'Unione europea?

Si tratta di una domanda di non facile risposta, perché l’anti-europeista non solo parte da una posizione ideologica radicale che non lascia spazio alla discussione, ma anche perché non capisce l’importanza del progetto non solo economico o commerciale, ma anche politico, stante alla base della costruzione della moneta unica e dell’UE. L'Unione europea, il mercato unico e la moneta unica, insieme ai diritti assegnati ai cittadini europei e ad essi associati, sono elementi inseparabili del progetto politico europeo, troppo spesso ridotti a un esercizio di mera contabilità. In tutti questi anni, i vantaggi per il nostro paese sono stati incommensurabili. A partire dal miracolo economico italiano dal dopoguerra, spinto dall’export e dall’industria e grazie all’apertura del mercato europeo, che ha permesso la ricostruzione del paese dilaniato dalla guerra e la creazione di posti di lavoro nei settori secondario e dei servizi. I pilastri del mercato interno, libera circolazione dei lavoratori, delle merci, del capitale e dei servizi, che fu il catalizzatore di una crescita che ancora oggi provoca i suoi benefici sull’economia.
Tuttavia, l’aggravarsi della crisi economica e finanziaria degli ultimi anni ha colto l’Unione europea impreparata. L’insufficienza degli strumenti a sua disposizione per far fronte alla crisi hanno costretto a mettere in campo misure urgenti e straordinarie. Sono stati fatti degli errori, il più macroscopico l’adozione del fiscal compact, che ha sancito in maniera giuridica, quella dottrina dell’austerità che lo stesso Fondo Monetario Internazionale, uno dei suoi più motivati apostoli, ha successivamente sconfessato. L’austerità ha colpito il lavoro, ha depresso l’economia, ha aumentato le diseguaglianze. Il nodo politico e centrale alla situazione sta tutto qui: non è l’Euro ad essere responsabile della situazione, ma le sbagliate, inefficaci e incomplete, dunque ulteriormente dannose, politiche economiche messe in campo in questi anni. Non è dunque con l’uscita dall’Euro, che come ci ricorda Draghi, è irreversibile, ma con un cambiamento in senso espansivo e redistributivo delle politiche economiche che possiamo rilanciare il nostro continente. L’idea della svalutazione della moneta nazionale, venduta come ricetta magica dall’accozzaglia no-euro per spingere le esportazioni e aumentare l’inflazione, cela delle spaventose controindicazioni. Su tutte: la distruzione del potere di acquisto e dunque l’abbattimento del valore reale dei salari; default dovuto all’impossibilità di ripagare il debito pubblico nazionale denominato in Euro, al netto di una certa e istantanea svalutazione della valuta nazionale; perdita di competitività e quindi il fallimento delle imprese che si troverebbero ad affrontare la stessa situazione di indebitamento da ripagare con valuta debole, e conseguente ulteriore perdita di posti di lavoro.
Diciamo che proverei a rispondere più o meno in questo modo.

-Quali sono le iniziative portate avanti da te e dal tuo gruppo parlamentare che pensi abbiano inciso maggiormente sulle vite delle persone?

Essendomene occupato in prima persona fin da giovane, non posso che citare nuovamente la Garanzia Giovani, che è stata ideata e lanciata come campagna del Partito Socialista Europeo e poi approvata dal Consiglio UE nella sua forma attuale. Io feci parte del Gruppo di lavoro del Partito Socialista Europeo che ha redatto la proposta di Garanzia Giovani, ed è stato per me un grande onore veder nascere dal nostro lavoro uno strumento che sta aiutando tantissimi giovani a trovare un impiego o a inserirsi in un percorso di formazione o in un ciclo educativo, diventando una realtà a livello europeo e una misure effettivamente strutturale per la lotta alla disoccupazione giovanile.

A livello più generale, posso sinteticamente riferire quali sono stati i risultati più importanti della nostra famiglia socialista, anche a livello politico, tenendo conto del difficilissimo contesto geo-politico nel quale l’Europa si trova ad operare. Dalla Crimea alla Siria, dalla Libia al Sahel, la guerra è alle porte dell'Europa. Le violenze, le disuguaglianze, i cambiamenti climatici e le tendenze demografiche stanno alimentando l'immigrazione di massa dall'Africa all'Europa. La Turchia è minata da una grave regressione democratica. L'Europa sta affrontando anche una vasta gamma di crisi interne: la crisi greca, la crisi dei rifugiati, la lunga serie di minacce e attacchi terroristici e il referendum britannico. Pur in queste circostanze, ed anche se il nostro gruppo rappresenta solo un quarto dei voti del Parlamento, abbiamo raggiunto risultati importanti per l'Europa. Durante la crisi greca, il nostro gruppo ha preso una posizione molto chiara contro la linea conservatrice: nei giorni più bui dei negoziati con Atene, Gli S&D sono rimasti l’unico canale aperto di comunicazione fra le autorità greche e Bruxelles.
Il nostro sostegno a Juncker ha reso possibile un cambiamento di rotta sensibile sul tema dell’austerità e siamo riusciti ad ottenere la comunicazione sulla flessibilità; abbiamo chiesto con forza un piano d'investimento europeo e lo abbiamo ottenuto. Abbiamo fatto un grande lavoro anche sul Pilastro Sociale Europeo e continuerà la nostra battaglia per una nuova Europa Sociale.
Di fronte alla crisi migratoria, siamo stati tra i primi a criticare l'egoismo degli Stati membri e grazie al nostro lavoro é stata messa sul tavolo una proposta di riforma e riassetto globale della crisi migratoria, poi boicottata dagli Stati membri.
Sempre grazie al nostro gruppo abbiamo finalmente ottenuto una proposta di revisione della direttiva sul distacco dei lavoratori, tema a noi molto caro e fondamentale.
Siamo stati in prima linea nella battaglia per formare una Commissione di inchiesta sul Dieselgate e sui Panama Papers.
E ancora: il pacchetto sulla economia circolare, la risoluzione sul dumping sociale, il raddoppiamento dei finanziamenti per l’istruzione del bilancio umanitario della UE sono tutte conquiste che hanno un forte impatto concreto sulle persone e sulle quali il contributo della famiglia socialista è stato ed è davvero importante.

 -Sei stato negli scorsi mesi in Turchia e nel Kurdistan iracheno, esponendoti in prima persona per parlare con i curdi. Come valuti l'azione europea nella risoluzione del delicato scenario regionale?

Lo scorso dicembre ho partecipato a due significative missioni organizzate dal PSE: la prima, in Turchia, aveva l’obiettivo di portare la solidarietà dei Socialisti europei a  Selahattin Demirtas, leader del partito curdo HDP, attualmente tra le principali forze di opposizione in Turchia. Arrestato lo scorso novembre dalle autorità turche insieme ad altri compagni di partito e membri del Parlamento, Demirtas è detenuto in un carcere isolato, al confine turco-bulgaro, lontano dalla sua famiglia. L’accusa sarebbe la vicinanza al PKK, considerato organizzazione terroristica dal governo. Con i colleghi abbiamo cercato di incontrarlo, senza successo, ma abbiamo comunque comunicato alla stampa, nonostante ci fosse stato proibito, la nostra vicinanza all’HDP e la nostra profonda preoccupazione per il trattamento che il governo turco sta riservando agli oppositori politici. Questo, assieme ai gravi attacchi alla libertà di stampa e alle “purghe” degli ultimi mesi, in seguito al fallito golpe di luglio 2016, mettono da mesi la democrazia turca sotto una pressione insostenibile. Pochi giorni dopo la nostra visita a Demirtas, il Parlamento di Strasburgo ha chiesto ufficialmente, in una Risoluzione, il congelamento del negoziato con Ankara per l’ingresso nell’Unione europea in risposta ai gravi sviluppi nel Paese. Il recente referendum costituzionale, vinto dal presidente Erdogan per pochi voti e in cui si sono registrate non poche irregolarità, non ha fatto che inasprire ulteriormente i delicati rapporti tra Turchia e Unione europea. In seguito al referendum, infatti, si è giunti, in particolare da parte del nostro stesso Gruppo S&D, a ipotizzare una sospensione ufficiale del negoziato, che nella pratica potrebbe equivalere a mettere la parola fine alla possibilità di ingresso della Turchia nell’UE (in quanto per riavviarlo occorrerebbe l’unanimità degli Stati membri, che difficilmente potrà di nuovo esserci, almeno nel breve termine, viste le circostanze).
La seconda missione a cui ho partecipato, nel Kurdistan iracheno, è consistita in un convegno tra le forze socialiste europee e internazionali e quelle curde. In un momento di tale complessità politica, in cui la democrazia è messa seriamente a rischio in Turchia, mentre l’intera regione è attraversata da un conflitto devastante da ormai 6 anni e l’ISIS controlla ancora parti consistenti di Siria e Iraq, dobbiamo rafforzare la nostra alleanza politica con i movimenti a noi vicini e di ispirazione laica e democratica, come le forze curde di stampo socialista, impegnate in prima linea nel contrasto al terrorismo e al fondamentalismo. Durante la visita, inoltre, ho visitato un campo di rifugiati reduci dall’orrore dell’ISIS, appartenenti alla minoranza yazida. E negli stessi giorni, il Parlamento europeo ha assegnato il Premio Sakharov di quest’anno proprio a due ragazze yazide, Nadia Murad e Lamia Haji Bashar, per il loro coraggio e la testimonianza che portano in tutto il mondo di quanto hanno subito dai membri del califfato. Accanto alle azioni positive da parte dell’UE che ho citato a proposito dei due casi, e alla grande iniziativa umanitaria e diplomatica che l’Unione porta avanti in Siria, non possiamo tuttavia essere pienamente soddisfatti del ruolo che abbiamo giocato finora, in particolare per quanto riguarda la Turchia. Per troppo tempo, infatti, la paura di un flusso abnorme di richiedenti asilo ha spinto Commissione e Stati membri a chiudere un occhio sul deterioramento della democrazia in quel Paese, fino al controverso accordo sui rifugiati del marzo 2016. Una contraddizione con i nostri valori, che dobbiamo risolvere in modo coraggioso e lungimirante, se vogliamo essere un attore davvero credibile sullo scenario internazionale, a livello politico e umanitario.


Simone Santoro
Simone Bigi
GDTO


*in foto, l'approvazione del Rapporto per l'inclusione sociale e nel mondo del lavoro dei rifugiati, presentato l'anno scorso da Brando Benifei.
 

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