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#25Aprile di Yannick Deza


Non è nemmeno l’una di pomeriggio, e già mi sento un fantasma a vagare per i marciapiedi di Torino, assaporando il sole di una bella giornata di festa, allegro, con l’illusione e la speranza di trovare aperto un giornalaio, un’edicola, o qualsiasi cosa mi possa vendere un quotidiano, da sfogliare, magari seduto su una panchina. E’ festa. A ricordarmelo sono le strade poco trafficate, quasi deserte, dove il silenzio viene spezzato solo dalle ruote di un autobus da cui timidamente spunta un tricolore che svolazza. Di sicuro non i cortei o gli eventi di piazza, che mai si inoltrerebbero a disturbare la quiete della periferia: carichi di bandiere e di striscioni, tutti insieme per commemorare e festeggiare un grande giorno per l’Italia, la sua liberazione. 

Da che cosa? Ma è chiaro, direbbero alcuni, dai nazisti che dal 1943 invasero il nostro paese, e che due anni dopo, il 25 Aprile, furono costretti a ritirarsi dalle città di Torino e Milano dietro l’avanzata dell’esercito alleato e delle milizie partigiane, segnando simbolicamente la fine della Seconda Guerra Mondiale. E’ chiaro. Non esiste spiegazione per le atrocità commesse dai soldati nazisti, per le stragi di civili di cui ancora oggi dobbiamo sostenere il gravo del ricordo. Vorrei che fosse così chiaro pure a me. Eppure non riesco a spiegarmi come sia possibile che per vent’anni un’intera nazione si sia passivamente piegata a se stessa, alla sua parte corrotta e ai suoi vizi peggiori, al fardello di una dittatura che ha inevitabilmente influenzato gli eventi che ci hanno condotto sotto l’occupazione tedesca. E fecero bene a festeggiare le migliaia di persone che finalmente rividero il primo barlume di luce in un cielo buio da troppo tempo, oscurato dalle stragi e dalle vittime della guerra. Ma la colpa era anche loro.

Troppo spesso ricordiamo il fascismo come se si trattasse di un brutto sogno, di un incubo, che ha squarciato come un lampo il nostro quieto riposo: una disgrazia piovuta dal cielo, un brutto periodo, che sfuma come le immagini di un ricordo ormai lontano. E con questo pensiero ci sentiamo sollevati, con questa piccola operazione mentale allentiamo il morso della nostra coscienza. Ma la verità, ahimè, è tutt’altro che leggera. La verità è che se a Marzabotto ancora gridano di terrore le anime delle vittime innocenti, la colpa è dell’irrazionalità che per primi ci ha colpito e che ci ha sprofondato in un’inutile bagno di sangue. Per cui oggi possiamo ricordare con orgoglio il valore e il coraggio dei partigiani che ci hanno liberato dall’invasione straniera, sapendo di raccontarci una mezza verità. Oggi ci guardiamo allo specchio, e scorgiamo il fantasma di un Mussolini che non riesce ad abbandonarci. 

Se continuiamo a non voler ammettere che si, siamo noi i colpevoli, siamo noi i carnefici, siamo noi responsabili del mattatoio dei nostri compatrioti, non riusciremo mai a superare definitivamente l’esperienza fascista . E allora a che serve festeggiare? A che serve ricordare il valore di pochi uomini, quando un intero paese si dovrebbe nascondere per la vergogna? Forse per ricordarci che siamo ancora in tempo. Possiamo scacciare una volta per tutte i fantasmi del nostro passato ricordando i nostri errori, che non abbiamo la forza di riconoscere. O la volontà. “L’errore, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi. Buona notte e buona fortuna”.

Yannick Deza
GDTO

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