La
crisi che stiamo vivendo spinge tutti noi a ricercare nuove soluzioni
per affrontare i problemi della quotidianità e per raggiungere il
benessere economico-sociale tanto desiderato. L’esperienza ci
insegna però che ottenere una buona qualità della vita da soli è
molto difficile anzi, a volte, impossibile. Siamo tutti consapevoli
del fatto che qualsiasi cosa, se fatta insieme, porta a risultati più
rapidi, migliori e con dispendio di energia e di costi ridotti; non
usciremo quindi dalla crisi se non ricominceremo a stare
insieme. Anche
perché condividere
conviene!
Antonio
Galdo nel suo ultimo saggio infatti dice: «Per alcuni decenni
abbiamo rimosso il desiderio di stare insieme e rinunciato a quella
meravigliosa energia sprigionata da una comunità.» E gli
esperimenti di co-housing
sparsi in Italia
dimostrano come questa energia l’hanno sentita sulla loro pelle le
persone che, grazie alla scelta di condividere, hanno realizzato il
loro sogno di un'abitazione.
L’associazione
CoAbitare, che ha appena concluso il primo progetto di co-housing
urbano della città di Torino, ha infatti pubblicato sul suo sito uno
slogan “UN NUOVO MODO DI
VIVERE VECCHIO COME IL MONDO”
in linea con il pensiero del giornalista A. Galdo che afferma “Lo
scambio, la condivisione sono gesti semplici, quasi primitivi, che
hanno però un’enorme modernità perché rafforzano i legami delle
comunità, locali e planetarie, e contrastano con concretezza un
mondo dove gli oggetti accumulati hanno perso senso».
Per
fortuna negli ultimi anni in Italia alcune famiglie hanno compreso
questo concetto e hanno deciso di cambiare vita
unendosi ad altre famiglie per condividere i luoghi della propria
quotidianità realizzando, in questo modo, il bisogno
primario di una casa e
contemporaneamente godendo dei vantaggi
della socializzazione.
Questo
è, in sintesi, il senso del “co-housing”,
o “co-residenza”:
esperienza che ha avuto origine in Danimarca negli anni ’70 e che
si basa sul concetto di progettazione
partecipata e
condivisione di
spazi, attrezzature e servizi.
Si
tratta quindi di insediamenti residenziali che non hanno un modello
preciso di realizzazione ma che sono composti inevitabilmente da
abitazioni private correlate da un insieme di spazi coperti e
scoperti condivisi: si pensi a sale polifunzionali, cucine comuni,
lavanderie, ecc.
Nella
definizione del termine co-housing
abbiamo parlato di progettazione partecipata ovvero le comunità di
futuri abitanti sono coinvolte, fin dall’inizio, nel processo di
co-housing
scegliendo le linee guida del progetto. Si tratta di una forma di
vicinato insediativo che risponde ad una necessità di mutuo scambio
e aiuto per rendere la vita sociale più accogliente, gradevole e
ricca.
Co-housing
significa anche risparmio
perché il costo della vita si riduce notevolmente, anzi, si
azzerano gli sprechi grazie ad una
gestione ottimizzata dei servizi: coltivazione di un orto comune,
organizzazione di un asilo interno, creazione di gruppi di acquisto
solidale per condividere
le spese alimentari e altre risorse per il tempo
libero (la palestra, ad esempio). Inoltre, in fase di realizzazione
degli edifici, si possono scegliere soluzioni idonee a garantire
il risparmio
energetico come l’installazione di impianti
fotovoltaici; con il co-housing, insomma, diversi servizi a
valore aggiunto diventano più accessibili perché i costi elevati
vengono sempre suddivisi. La collaborazione permane
anche per tutte le attività di cura e manutenzione degli spazi
comuni, senza gerarchie: ruoli e responsabilità
sono decisi collettivamente in base a capacità e interessi di
ciascun membro della comunità di cohousing, perché nessuno esercita
autorità sugli altri.
In
Italia, quando si pone sul tavolo la questione dell’abitare,
il fenomeno
co-housing rappresenta
ancora un’esperienza
marginale in
quanto, soprattutto nelle
aree urbane, le configurazioni architettoniche dei condomini
impongono stili abitativi che poco si conciliano con la logica della
condivisione. Eppure, il modo in cui una società abita non è un
“fatto” immutabile ma un processo in costante evoluzione che va
di pari passo con i cambiamenti del cittadino stesso.
E’
importante quindi, che co-housing prenda piede non come
forma abitativa alternativa “di moda”, ma come scelta
di vita sostenibile economicamente
e socialmente affinché, fra qualche anno, possa svilupparsi andando
a creare un senso del
vicinato dove le persone possano mettere a disposizione la loro
solidarietà verso il prossimo per un aiuto reciproco.
Veronica Sergi
GDTO
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