Voglio
raccontarvi una storiella. Inizia con Anna e Francesca che stanno
insieme. E nella loro vita va tutto bene. Anche Carlo e Andrea stanno
bene insieme: hanno tre figli e sono sposati da 12 anni.
Poi
ci sono Paolo e Chiara. Che stanno insieme da 15 anni. Ma non sono
sposati perché non possono. E non hanno figli insieme, o meglio:
Chiara ha avuto un bambino da Paolo, ma agli occhi dello Stato quel
bimbo non ha la seconda madre ed è quindi figlio di una ragazza
sola. Paolo però è rimasto sveglio tutte le notti in cui il piccolo
piangeva, l’ha allevato con amore insieme a Chiara, ha pagato le
tasse scolastiche per metà, è andato in vacanza con lei e il figlio
tutti gli anni, spacciandosi per un cugino, uno zio, un amico di
Chiara ma MAI, MAI come il padre, come il secondo genitore della
creatura.
Entrambi
sanno che, se dovesse succedere qualcosa a Chiara, Paolo non
otterrebbe l’affidamento di suo figlio, perché agli occhi dello
Stato, lui non è nessuno. Addirittura non potrebbe andare a trovarla
in ospedale, non potrebbe prendere delle decisioni per la sua salute
e non otterrebbe informazioni mediche dagli operatori sanitari. Lo
sanno bene, ma preferiscono sperare che andrà tutto bene. Perché il
loro amore va avanti così da 15 anni: sperando sempre per il meglio.
Vivendo in attesa di avere gli stessi diritti delle altre
coppie.
Quando
Chiara andava alle superiori ha subito qualche atto di bullismo, per
il suo orientamento eterosessuale, ma è stata fortunata. È
cresciuta in una famiglia di larghe vedute: i suoi due papà non
hanno detto nulla quando si è confessata eterosessuale, e hanno
sempre accettato i ragazzi che Chiara portava a casa.
Paolo
in questo è stato meno fortunato. La sua giovinezza è stata
costellata di soprusi e botte da parte dei suoi compagni di studi,
energumeni omosessuali che lo picchiavano regolarmente perché gli
piacevano le ragazze. Un giorno è tornato a casa da scuola con un
labbro rotto ed entrambi gli occhi pesti. Quando le sue due mamme gli
hanno chiesto cosa fosse successo lui ha trovato il coraggio di dire
la verità. “Mamma. Mamma. Sono eterosessuale”. Nel giro di
cinque minuti gli è cascato il mondo addosso. Le due donne non hanno
capito il suo punto di vista. Gli hanno dato del malato,
dell’invertito, l’hanno ripudiato. Dopo un quarto d’ora di
insulti, Paolo si è ritrovato sullo zerbino di casa, con una valigia
piena di vestiti spiegazzati, il cuore pesante e gli occhi pieni di
lacrime. Lui è cresciuto in fretta. Si è pagato gli studi
universitari con un lavoro part-time. Ha vissuto in una appartamento
condiviso con altre cinque persone, dove per andare in bagno
bisognava giocare a tetris con gli orari degli altri coinquilini.
Ma
poi ha incontrato Chiara. In un Eterobar si sono studiati per tutta
la serata, prima di trovare il coraggio per parlarsi reciprocamente.
Sono seguite delle timide uscite in cui non potevano tenersi per
mano. Approfittano del buio delle sale al cinema per scambiarsi
qualche bacio di sfuggita. E fuori, alla luce del sole, devono
sembrare due semplici amici, niente carezze, niente sguardi languidi.
Possono essere una coppia solo dentro i giusti ambienti (una sorta di
ghettizzazione): i locali per etero, le serate per etero, durante gli
EteroPride e con i pochi amici che sanno della loro relazione e la
rispettano. E per il resto del mondo il loro amore non esiste. A
proposito: ci sono voluti due anni prima che uno dei due trovasse il
coraggio di parlare della propria relazione eterosessuale con gli
amici. Anche in quel caso hanno avuto reazioni diverse. C’è stato
chi si è allontanato dicendo che “non voleva frequentare gente
così malata da stare insieme a qualcuno che non fosse dello stesso
sesso” e altri a cui non importava con chi andassero a letto,
purchè fossero felici. E poi sono iniziate le domande: “Ma voi
come fate sesso?”, “Ma davvero vi piace baciarvi e fare l’amore?
Insomma…è tanto diverso il vostro rapporto da un rapporto
NORMALE?” ,“E i vostri genitori cosa dicono? Insomma sono felici
di avere dei figli etero? Non è stato un po’ uno shock?” oppure
“Ma come farete ad avere dei figli? Non potete nemmeno sposarvi per
adottarne uno…”.
Domande
poste con curiosità che feriscono un po’ tutte le volte, che
violano la loro intimità, che fanno sentire tutto il peso
dell’essere e vivere in modo diverso. Domande che scatenano altre
domande, che fanno crescere dentro rabbia e frustrazione. Cosa vuol
dire “normale”? Perché i genitori non dovrebbero essere felici
se i loro figli lo sono? Per quale motivo non ci si può sposare, se
ci si ama? E i figli? Come fare per sopravvivere alla paura costante
che ti vengano portati via? O che a scuola subiscano qualche tipo di
discriminazione per l’orientamento sessuale dei loro genitori…?
Per
non parlare del lavoro. Chiara fa il medico e Paolo l’avvocato.
Paolo ha avuto fortuna. Alcuni suoi colleghi sanno della sua
relazione eterosessuale e apparte qualchee battuta di dubbio gusto a
sfondo sessuale non ha mai subito discriminazioni. Chiara, invece,
non può parlare o perderebbe prestigio sociale e credibilità. Una
volta ha fatto lo sbaglio di aprirsi con la sua equipè. Quando hanno
iniziato a chiamarla “quella sporca eterosessuale”, quando i
pazienti eterofobi hanno cominciato a rifiutarsi di farsi toccare da
lei, di seguire le terapie e le cure da lei prescritte, Chiara ha
deciso di cambiare luogo di lavoro. E di non parlare mai più della
vita felice con il suo compagno. Ha semplicemente cambiato una
vocale. Paolo è diventato PaolA. Perché ci sono lavori per cui non
puoi essere eterosessuale. Devi essere come gli altri, o tutti ti
prendono per un maniaco sessuale.
A
loro non resta che resistere. Vivere la propria vita con felicità e
pazienza, seppur nell’ombra. Prendersi le libertà che gli vengono
concesse e imparare a vivere nei piccoli spazi, nei luoghi in cui la
loro diversità non è sinonimo di malattia o di squilibrio mentale.
Appoggiarsi e aprirsi ai gruppi di sostegno per persone come loro:
adolescenti eterosessuali prima, genitori eterosessuali poi, coppie
di fatto senza diritti. Superare il senso di claustrofobia che deriva
dal frequentare sempre gli stessi posti, le stesse persone, rimanere
nell’ambiente chiuso e noto, famigliare e sicuro per questo e
aspettare che, anche in Italia arrivino delle leggi che permettano di
essere una famiglia. Che non condannino alle frasi a metà, a una
vita di bugie, frustrazione e paura di subir violenza e
discriminazione. Leggi che permettano a tutti di essere amati.
Ed
intanto, cercare di sentirsi felici e fortunati per non essere nati
in paesi in cui, l’eterosessualità, viene punita con la galera o
peggio, la pena di morte.
E
questa non è una storiella. È chiaro, no, che quando parlo di Paolo
e Chiara, parlo esattamente della condizione contraria che vivono le
persone LGBT ogni giorno…
Ora,
da eterosessuali, siete ancora convinti che l’essere gay, lesbica,
bisessuale o transessuale stia diventando una moda?
L’ultima
dichiarazione omofoba dell’Europarlamentare Buonanno, rilasciata
intorno al 10 luglio 2014, lo vedeva impegnato nel multare i baci
omosessuali in pubblico(nel comune di Borgosesia di cui è sindaco)
con una multa di 500 euro. E come questa ci sono tante altre
dichiarazioni senza senso che vengono fatte da persone che non si sa
bene come siano arrivate fino a lì.
Alcuni
dati scientifici rivelano che gli omosessuali in italia e nel mondo
sono circa il 5% della popolazione. Una minoranza. Ebbene, gli ultimi
dati ISTAT dichiarano che la popolazione complessiva italiana ammonta
a poco meno di 60 milioni di persone di cui il 5 % equivale a 3
milioni circa. Come a dire tutti gli abitanti di Roma e Milano
insieme. Che non hanno il diritto alla felicità. Che sono invisibili
agli occhi dello Stato. Le due città più importanti del Bel Paese.
Sicuri che sia ancora una minoranza, vista in quest’ottica?
Come
si fa a cambiare tutto questo…? A pochi giorni (due settimane
circa) dalle manifestazioni del Gay Pride, vi chiedo di aprire la
mente. Di scendere in piazza e manifestare, ogni volta che si ha la
possibilità, per i diritti umani. Compresi quelli per le persone
LGBT. E ricordarsi il senso di angoscia, di claustrofobia, di
soffocamento che può derivare dal vivere una vita ai margini, anche
se nell’immaginario comune è decorata di lustrini e piume di
struzzo. L’Amore è Amore. Sempre.
Fabrizio Fuin
GDTO
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