Grandi
notizie:
dopo anni (secoli) la Svizzera ha ceduto, ha siglato l’accordo con
il nostro Paese e ha abolito il segreto bancario. Ma quali le
conseguenze per l’Italia e soprattutto per i nostri soldi?
Premessa: non è reato avere conti all’estero. Chiunque di noi può
farlo, purché compili ogni anno la dichiarazione dei redditi, ve li
inserisca e paghi le tasse sui rendimenti come tutti gli altri. Il
problema è che molti fino ad adesso hanno portato i soldi in
Svizzera senza compilare il quadro RV, il che implica che queste
somme non esistano per il fisco italiano e siano quindi completamente
esenti da imposte. Come far rientrare dunque questi capitali? Come
rimetterli in circolo in Italia specialmente in questo periodo di
ristrettezze economiche in cui un po’ di liquidità e un po’ di
entrate in più non farebbero assolutamente male al nostro Paese? Un
primo tentativo di correre ai ripari è stato effettuato già
dall’allora ministro Tremonti nel 2001, sotto forma di un
cosiddetto scudo fiscale, prassi mantenuta poi anche negli interventi
degli anni successivi. La procedura in termini semplici consisteva in
questo: si facevano rientrare i capitali anonimamente,
venivano trasferiti in banche italiane su conti segretati (ovvero non
sottoposti ad indagine da parte dell’agenzia delle entrate) e vi si
pagava una somma corrispondente al 2,5% dell’ammontare complessivo,
ben poca roba se si pensa che in situazioni normali la tassazione nel
nostro Paese si aggira intorno al 40%, se non di più. Allettati da
questa possibilità molti detentori di capitali all’estero li hanno
fatti rientrare, sfruttando l’occasione di mettersi in regola a
costi minimi. Molti di questi soldi si trovavano per l’appunto in
Svizzera. Fino a pochissimo tempo fa in tale Paese vigeva il
famigerato segreto bancario, ovvero non venivano date informazioni
dalle banche al fisco se non su richiesta del giudice per singoli
individui e per reati estremamente gravi da loro riconosciuti, nei
quali ovviamente non era compresa l’evasione fiscale. Il fisco
italiano dunque non poteva effettuare indagini se sospettava che
venissero evase le tasse e l’unica possibilità di riottenere i
capitali era appunto emanare un provvedimento di tal genere, in modo
da spingerli a rientrare volontariamente. A questo primo scudo
fiscale ne sono seguiti altri, di cui l’ultimo nel 2009: si è
creata quindi l’illusione di poter portare soldi all’estero per
poi usufruire di queste misure senza pagare le tasse in Italia. La
legge veniva vista in definitiva come una sanatoria, un modo per
aggirare il fisco pagando poi una piccola ammenda (nel corso degli
anni venne portata al 5, 6 e poi fino al 7%, ma si trattava sempre di
percentuali trascurabili). Per dare un taglio definitivo a questo
fenomeno l’attuale governo Renzi ha fatto entrare in vigore uno
scudo fiscale ultimo
e
risolutivo, che non passa più attraverso le banche italiani con la
garanzia dell’anonimato, bensì direttamente dall’agenzia delle
entrate. Il suo funzionamento consiste in ciò che viene chiamata
voluntary discreasure, ovvero una sorta di autodenuncia: ci si reca
volontariamente
presso l’agenzia delle entrate, si dichiara l’esistenza e
l’entità dei propri conti all’estero, dopodiché parte
un’indagine al termine della quale non viene corrisposta
un’aliquota fissa, ma vengono applicate delle sanzioni in base al
singolo caso (movimenti del denaro, guadagni, etc…) e oltre a
queste è obbligatorio pagare le tasse allo Stato italiano su quanto
posseduto (anche sugli interessi che i capitali hanno fruttato). Lo
scudo fiscale è appunto definitivo e ultimo e ciò significa che se
tale opportunità non viene sfruttata e i soldi non vengono
dichiarati nel caso in cui lo Stato li scoprisse l’intera somma
verrebbe confiscata e ci sarebbero anche delle sanzioni aggiuntive
(fino a più del 200%). Inoltre, si tratterebbe di reato penale (si
va in galera), chiamato auto riciclaggio, poiché si rimettono in
circolo spendendoli soldi provenienti da evasione fiscale. Lo scudo è
dunque un incentivo a denunciare immediatamente i propri capitali e
pagare quanto dovuto per non incorrere in guai peggiori nel caso in
cui la loro presenza venisse provata con successive indagini. Ma
perché l’operatività in questo campo divenisse effettiva, lo
Stato italiano doveva poter effettuare veramente queste indagini,
ovvero era necessario che la Svizzera collaborasse abolendo il
segreto bancario. Perché lo ha fatto? Uno dei motivi è che i
paradisi fiscali vengono inseriti nella cosiddetta lista nera, per la
quale il provvedimento stabilisce che in caso di autodenuncia vengano
controllati i movimenti per dieci anni (e non per cinque come per i
Paesi della lista bianca): le sanzioni sarebbero quindi molto più
alte e si preferirebbero altri Paesi per depositare i propri
capitali. Inoltre, le pressioni internazionali stavano da tempo
diventando particolarmente insistenti e ci sono state anche
consistenti multe (la più grande banca Svizzera è stata condannata
a pagare tre miliardi di dollari al governo degli Stati Uniti perché
accusata di aiutare i cittadini a trovare metodi per eludere il
fisco), senza contare la gogna mediatica e il notevole impatto
sull’opinione pubblica. Dal 2018 dunque lo scambio di informazioni
diverrà automatico e l’intermediario svizzero comunicherà
immediatamente tutti i movimenti di capitale all’agenzia delle
entrate (prima di quella data si potranno fare richieste per singoli,
esponendo semplici motivazioni). Che cosa ci guadagna l’Italia? 1.
Coerenza e immagine: tutti pagano e chi non paga riceve sanzioni, o
almeno così dovrebbe essere. 2. In concreto: i proventi di questa
operazione per il momento non sono stati inseriti nel bilancio
(tranne 1€), quindi ogni somma recuperata sarà in più e potrà
essere spesa a favore del Paese e dei cittadini. Non male, direi.
FEDERICA BAGLIVO Giovani Democratici di Torino
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