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INTERVISTA AD ANDREA GIORGIS

Prosegue il nostro ciclo di interviste. Oggi, mentre la Direzione nazionale del Partito democratico discute  delle riforme istituzionali, noi ne parliamo con l'On. Andrea Giorgis, Docente ordinario di Diritto Costituzionale all'Università di Torino e membro della I Commissione della Camera dei Deputati (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni).

Come componente della I Commissione Lei si è occupato in questi mesi della riforma costituzionale il cui iter in Senato sta continuando tra dubbi sulla tenuta della maggioranza e tentativi di compromesso. Secondo Lei è possibile in questo mese arrivare a una mediazione che salvi l'unità del partito?

Secondo me è possibile e doveroso raggiungerla, in modo da consegnare al Paese una buona riforma del bicameralismo e del Titolo V. Una riforma in grado di rafforzare al tempo stesso la capacità rappresentativa e la capacità decisionale delle nostre istituzioni politiche.

Entrando nel merito della riforma su che cosa ritiene che vadano fatte delle modifiche?
Bisogna evitare che questa sia un'occasione mancata. Noi abbiamo bisogno di realizzare una riforma del bicameralismo e del Senato che consenta alla democrazia rappresentativa di meglio operare e innanzitutto di meglio rappresentare. Oggi stiamo vivendo una stagione nella quale la fiducia dei cittadini nelle istituzioni rappresentative e in particolare nel Parlamento è ai minimi storici, il che indebolisce il Parlamento. Un Parlamento poco rappresentativo, poco riconosciuto, un Parlamento poco autorevole fatica a governare il Paese e a orientare l'economia all'interesse generale. Quindi il tema della ricostruzione di un rapporto di fiducia e di un rafforzamento del Parlamento è prioritario. In questa prospettiva bisogna discutere del superamento del bicameralismo paritario, e bisogna ragionare su quale funzione attribuire al nuovo Senato. Io penso, ad esempio, che alla riforma del Titolo V dovrebbe accompagnarsi la costruzione di un Senato capace di esprimere il punto di vista delle Regioni e di sostenere un processo di integrazione tra i diversi territori, mitigando altresì (su alcune materie) il profilo maggioritario della forma di governo. Questo significa però fare in modo innanzitutto che il Senato sia un Senato autorevole, composto in modo da rispecchiare davvero il punto di vista dei territori. Il testo che il Senato si accinge a discutere presenta invece a questo proposito dei limiti, delle contraddizioni. E' difficile, ad esempio, che il nuovo Senato possa esprimere al meglio il punto di vista delle Regioni (in quanto istituzioni) se non è prevista la presenza obbligatoria dei Presidenti di Regione. Il numero dei componenti, inoltre, se si guarda bene, rischia di non essere sufficiente a garantire la piena funzionalità di un organo che rimane comunque co-legislatore. Inoltre è piuttosto irragionevole che vi debba essere un Sindaco per ogni regione scelto dal Consiglio Regionale e non dagli stessi enti locali (che dovrebbe rappresentare) o sulla base di un criterio oggettivo. Occorre poi rivedere il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni per ridurre la conflittualità. Comunque sono convinto che tutte queste questioni siano risolvibili. Bisogna che ci sia un atteggiamento costruttivo, un atteggiamento responsabile, a partire ovviamente da chi guida il partito.
Infine, è bene ricordare che le riforme costituzionali sono necessarie, devono essere fatte bene e devono essere fatte dal Parlamento, non dal Governo. La Costituzione è stata e deve continuare a essere un compromesso, un patto tra tutte le forze politiche e quindi tra tutti i cittadini, che fissa i diritti, i doveri e le forme della democrazia e del pluralismo. Il Governo può svolgere un ruolo di impulso, di sostegno, può accompagnare la riforma ma non deve legare il proprio futuro e la propria azione alla tempistica e a contenuti della riforma stessa. La materia costituzionale è per definizione materia parlamentare.

All'interno della Commissione Lei si è occupato anche della riforma elettorale, il cosiddetto Italicum. Sono emerse in questi mesi molte opinioni contrastanti in merito. Anche Lei ritiene che si debbano apportare degli emendamenti? Se sì quali?

Credo che se il Governo, e quindi il PD, sostenessero alcune correzioni all'Italicum, questo dimostrerebbe la forza del Partito Democratico, non la sua debolezza. Questa legge elettorale presenta aspetti di eccessiva somiglianza con la legge dichiarata incostituzionale dalla Consulta, il cosiddetto Porcellum, aspetti che bisogna rimuovere.

Può fare degli esempi?

Il Porcellum fu dichiarato incostituzionale perché consentiva che una minoranza si trasformasse in una consistente maggioranza. Il problema del Porcellum, secondo la Corte, era che consentiva un'eccessiva disproporzionalità, cioè uno squilibrio irragionevole tra consenso ottenuto e numero di seggi conquistati. Questa legge rischia di ripetere esattamente lo stesso problema, perché è una legge che, non prevedendo nessuna condizione per l'attribuzione del premio al ballottaggio, può ben consentire che una forza politica con il 20-25% dei voti conquisti un premio del 55% dei seggi, magari a seguito di un ballottaggio poco partecipato dove molti cittadini non prendono parte alla votazione. Quindi credo che sia nell'interesse del Paese un supplemento di riflessione sulle condizioni che debbono verificarsi affinché il premio sia assegnato. Lo stesso vale per quanto riguarda il criterio di selezione dei deputati. Anche qui valutiamo bene se sia davvero ragionevole avere un Parlamento che è composto prevalentemente da candidati che non possono essere scelti dai cittadini. E' un tema molto delicato, ma in ogni caso non mi sembra particolarmente ragionevole negare agli elettori delle forze politiche che non conquistano il premio la possibilità di scegliere i propri rappresentanti, riconoscendo tale prerogativa solo a coloro che votano per la lista vincente.

Ritiene che ci sia il tempo per apportare queste modifiche all'Italicum?

La legge elettorale entrerà in vigore solo dal luglio 2016 e probabilmente verrà applicata solo nel 2018, scadenza naturale di questa legislatura, quindi rimane tutto il tempo necessario per introdurre alcuni miglioramenti. Non c'è nessun rallentamento, nessuna conseguenza negativa dall'apportare miglioramenti, non ci sarebbero danni ma solo benefici
.
Lei recentemente si è occupato anche del recepimento della direttiva europea sui richiedenti asilo. Può dirci la Sua opinione su quello che l'Italia e l'Europa dovrebbero fare nei confronti dei migranti?

Intanto la prima cosa che l'Europa deve fare è assumere il problema come un problema europeo e non come una questione nazionale. L'Europa si sta giocando parte del proprio futuro dal modo in cui affronta il problema dei rifugiati politici e dei migranti perché soltanto un'Europa unita che agisca come un soggetto unitario può essere in grado di dare una qualche risposta seria al dramma dei migranti. In secondo luogo, e in questo il Parlamento sta facendo dei passi molto importanti, occorre che l'Europa stabilisca delle condizioni uniformi per l'accoglienza e, di conseguenza, per la piena tutela del diritto di asilo. Noi nel recepire queste direttive stiamo finalmente facendo fare all'Italia un passo in avanti importante perché quando verranno pienamente tradotte in prescrizioni giuridiche le indicazioni che la Commissione affari costituzionali ha dato, il nostro Paese potrà rispettare gli standard europei di accoglienza e di conseguenza potrà dare piena garanzia ai fondamentali diritti umani. Naturalmente questo è un tema che l'Italia deve affrontare in un quadro nel quale il soggetto regolatore che definisce le condizioni anche economiche è l'Europa e non ogni singolo Paese. Sia in materia economica, che in politica estera e di accoglienza, l'Europa deve essere più coesa e più capace di guardare all'interesse generale dell'Europa in quanto Europa. L'egoismo nazionale e la paura devono cedere il passo all'interesse generale, alla ragione e alla solidarietà.

E arriviamo all'ultima domanda: nel nostro tempo cosa vuol dire essere di Sinistra?

Essere di sinistra intanto oggi vuol dire rendersi conto che l'Italia e l'Europa, per uscire dalla crisi, devono affrontare sul serio il problema della disuguaglianza che negli ultimi vent'anni, anche a causa delle politiche neoliberiste, è progressivamente cresciuta. Si tratta di una disuguaglianza profonda che investe beni essenziali, come le cure sanitarie, l'istruzione, il lavoro e quell'insieme di strumenti culturali che sono indispensabili per il pieno sviluppo della persona. Oggi la sinistra ha di fronte a sé un enorme compito perché le disuguaglianze e l'esclusione sono cresciute e le innovazioni scientifiche e tecnologiche hanno dato all'essere umano un potere enorme che non aveva mai avuto prima. Pensiamo alle possibilità che la scienza offre oggi in tema di riproduzione e modificazione del patrimonio genetico, pensiamo alle condizioni in cui versa l'ambiente: l'essere umano ha un'enorme responsabilità nei confronti delle generazioni future. E la sinistra deve adoperarsi per assicurare ad ogni individuo le condizioni per poter condurre un'esistenza libera e dignitosa. Oggi, in un contesto sempre più globalizzato, acquistano nuova forza alcune intuizioni che furono proprie della sinistra come l'universalismo dei diritti, il concetto di un'uguaglianza che va al di là dei confini nazionali, l'idea che ogni essere umano in quanto tale abbia diritto al pieno sviluppo della propria persona. Questa è la missione della sinistra. Un enorme compito, a tutela dei più deboli ma nell'interesse di tutti. E' un punto importante questo, che va sottolineato: se oggi l'Italia e l'Europa riducessero le disuguaglianze, migliorando le condizioni di vita dei molti che non possono accedere a beni materiali e culturali primari, se oggi ci fosse una maggiore redistribuzione di risorse e di opportunità, l'intera economia riceverebbe uno stimolo alla crescita. Anche chi oggi dovrebbe essere chiamato a un maggiore sacrificio di solidarietà ne avrebbe, in prospettiva, un vantaggio.

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