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MAMMAMIA LE TRIVELLE!

Perchè il referendum volto a vietare le trivellazioni marittime e terrestri è di una sinistra... a spese degli altri?

(e potevo usare un epiteto di gran lunga peggiore) In questi giorni ho assistito, con piacere devo dire, al fallimento della campagna referendaria che tra le altre cose era contro le trivellazioni a fini petroliferi in mare ed in terra. Ma cosa ci sarà di così affascinante nel trivellare off ed onshore la nostra penisola? E cosa viene detto contro le trivellazioni?

La premessa legalitaria.

Una delle cause che spingono i no pits, è il rischio di contaminazioni mafiose nella cessione ed usufrutto dei lotti di terra. La cura però, non è l’annullamento delle opere, ma la difesa della legalità nelle procedure pubbliche e nella cessione dei permessi: sentir dire che una determinata opera di sviluppo non va fatta per via delle infiltrazioni (tralasciando le considerazioni politico-economiche in merito), è la più grande sconfitta della società e civiltà italiana, e la più grande vittoria della mafia, che testimonia di essere arrivata ad un potere tale, da impedire lo svolgimento regolare di un’opera infrastrutturale pubblica o privata.

La causa ambientale.

Le operazioni di estrazione del petrolio sono pericolose dal punto di vista ambientale e rischiano di danneggiare il territorio, affermazione palesemente vera. Ancora una volta però, la cura è la trasparenza e legalità nelle procedure di valutazione dei rischi e degli impatti dei sistemi energetici, e non l’impedimento in toto.
L’estrazione petrolifera, per altro è una tecnologia matura, protratta negli anni, e come tale relativamente sicura e stabile. Per esempio esistono a fronte di metodi impattanti di eco-scandaglio del sottosuolo e trivellazione a fini esplorativi, altri metodi non dannosi per gli ecosistemi (tra tutti, gli ultrasuoni), e che possono essere usati nel Mediterraneo.
Quanto alle valutazioni di carattere geologico-morfologiche, si deve difendere la legalità e la trasparenza degli studi valutativi circa la caratterizzazione sismico-geologica del sottosuolo che si sta andando a trivellare: in direzione di un inasprimento di queste procedure allora avrebbe senso chiedere un maggiore impegno e tutela ambientale da parte del governo, trovando un compromesso tra tempi fisiologici di realizzazione delle schede tecniche e velocità burocratica nella cessione dei permessi.

L’alternativa

Il petrolio ed in generale le fonti fossili, a discapito di quanto dicono i populisti da strapazzo, è ben lungi dall’abbandonare il suo ruolo di rilievo nell’economia e nella società moderna, e se nel settore della generazione elettrica iniziano ad esserci le prime valide alternative rinnovabili, che comunque ben si guardano dall’essere ad impatto zero, nel settore dei trasporti per esempio, siamo distanti anni luce da questo traguardo.
Presentare le rinnovabili come alternativa al petrolio su larga scala è quindi per ora pura fantascienza e demagogia. Fermorestando che ogni singola pala eolica ha il suo comitato “No pal(l)a”, e che spesso interventi di efficientamento energetico vengono vietati da vincoli a volte di dubbia utilità, di carattere paesaggistico ed artistico. Dall’altro lato però, ha ancora un notevole senso strategico, continuare ed investire ed a fare ricerca su un utilizzo delle fonti fossili quanto più possibile razionale e con tecnologie quanto più possibile efficienti (teleriscaldamento, cogenerazione ad alto rendimento).
Ammettiamo allora per un attimo di rinunciare ad estrarre quel poco petrolio che la nostra penisola, avara di risorse fossili, ci nasconde. Alla luce di quanto appena detto, la stessa quantità di petrolio, andrebbe importata dall’estero. Non raccontiamoci bugie: a noi il petrolio serve.

Importare dall’estero?

Chi ha aperto un libro di storia contemporanea, sa benissimo quali conflitti ci siano alla base dell’utilizzo del petrolio, e conoscerà l’instabilità politica che caratterizza i paesi grandi produttori di oro nero.
L’estrazione nazionale avrebbe quindi in primo luogo l’effetto positivo di diminuire la quota di petrolio importata dai paesi mediorientali, rendendo la nostra economia più solida di fronte agli equilibri geopolitici internazionali, e di conseguenza alla fluttuazione del prezzo del petrolio; vantaggio che si ripercuoterebbe su tutti i settori, non ultimo quello alimentare per il costo legato al trasporto delle derrate.

Ma l’estero è forse immune dai problemi ambientali e sociali?

Ok: importiamo il petrolio dal Medio Oriente, così la nostra macchia mediterranea rimane incontaminata (e già questa è una bugia).
Qualcuno si aspetterà mica che uno stato come gli Emirati Arabi, o il Qatar, controllati dagli sceicchi che basano i loro miliardi ed il loro potere sul petrolio, disponga di una normativa ambientale che garantisca la tutela dell’ecosistema? Quindi in tutto ciò abbiamo ottenuto che il danno ambientale venga fatto... A CASA D’ALTRI.
Ma soprattutto, qualcuno avrà mai sentito parlare dei pakistani/indiani etc sfruttati ed ammassati in questi paesi per lo sfruttamento del petrolio? Non credo che questi operai conoscano nè il jobs act, nè il contratto statale a tempo indeterminato, né tantomeno la CGIL che li difende.

Cornuti e maziati.

Ricapitolando:
  • il nostro orticello Mediterraneo resta illibato.
  • il danno ambientale viene fatto lontano, noi così non lo vediamo, le cronache non ce ne parlano e possiamo stare con la coscienza in pace.
  • la nostra forza lavoro rimane a casa
  • il Sud Italia perde una possibilità di rilancio economico e strategico, ma continua a lamentarsi dei disoccupati, della desertificazione industriale e dei poli minerari abbandonati (tra tutti: Siracusa). Della serie: “Aspettiamo il reddito di cittadinanza, e l’abbiamo sfangata” (per qualche tempo).
  • Il lavoro estrattivo viene fatto lo stesso, da paesi che sfruttano la manodopera e l’ambiente, così noi possiamo continuare a vantarci della nostra macchia mediterranea, dimenticando che in regioni come la Calabria e la Campania, la mafia è riuscita a mangiarsi anche quella, con il relativo turismo.

La curiosa svolta della sinistra radicale.

E’ uscito a fine 2014 in Italia il film PRIDE, film bellissimo, che consiglio a tutti. Erano altri tempi, ma lì gli operai e la sinistra radicale stavano stretti intorno ai minatori che arrivarono a fare un anno di sciopero per difendere il loro pozzo, ed il loro lavoro; pozzo che la Thatcher voleva chiudere in nome della non concorrenzialità.
Negli anni 70 il “Land del carbone e dell’acciaio”, ossia il Nordrhein-Westfalen che oggi produce oltre 1/5 del PIL tedesco, subì forti crisi, perchè le proprie industrie, che come suggerisce l’appellativo, si occupavano di estrazione e lavorazione delle materie prime, non erano più competitive con i paesi in via di sviluppo, che con minor tutela ambientale e sociale, fornivano lo stesso prodotto a prezzo inferiore.
Io non sono uno che ha posizioni di sinistra radicale, ma penso che questo trend vada controllato, e che a livello strategico, sarebbe importante mantenere determinate attività estrattive ed industriali nel proprio territorio, per non lasciarle completamente in mano al capitalismo, che dietro al prezzo di mercato nasconde lo sfruttamento ambientale e sociale dei paesi in via di sviluppo. Trovo quindi ipocrita questa sbandierata difesa dell’ambiente, perchè di essa non si tratta se poi l’impatto c’è ugualmente, si tratta piuttosto di una miope ed opportunistica difesa del proprio orticello, e nasconde una pugnalata al lavoro ed all’economia della nostra penisola.
Gianluca Ardissoni
GDTO

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