Nel settembre 2001 avevo sette anni e mezzo. Con le mie amichette di scuola i giorni dopo l'attentato alle Torri Gemelle a New York, visto in diretta conseguentemente all'interruzione immediata e obbligata della Melevisione, appena suonava la Campanella dell'intervallo ci siedevamo in cerchio per terra nell'angolo dell'aula, a sinistra, per parlare di quanto successo. Erano dieci minuti intensissimi in cui noi bimbe di seconda elementare cercavamo di analizzare, capire e trovare spiegazioni e forse addirittura soluzioni a quello che avevamo appena scoperto essere il terrorismo.
Nonostante l'età e le immagini fortissime che avevamo visto riuscivamo a essere molto lucide e razionali.
Quello però non era che l'inizio di tutto quello a cui abbiamo assistito nei successivi anni in materia: dall'Iraq nel 2003 fino ad arrivare agli avvenimenti degli ultimi giorni, dalla Siria a Parigi.
Quello però non era che l'inizio di tutto quello a cui abbiamo assistito nei successivi anni in materia: dall'Iraq nel 2003 fino ad arrivare agli avvenimenti degli ultimi giorni, dalla Siria a Parigi.
Come quattordici anni fa anche oggi mi ritrovo (è inevitabile) a parlare di questi fatti anche se chiaramente con argomentazioni più solide e conoscenze più ampie che mi permettono di essere (almeno lo spero) ancora più obiettiva e critica costruttiva.
Però, oggi come allora, una cosa sola non riesco a metabolizzare: il pensiero di come riescano a superare il dolore della morte coloro che rimangono, a prescindere da chi l'abbia causata.
Però, oggi come allora, una cosa sola non riesco a metabolizzare: il pensiero di come riescano a superare il dolore della morte coloro che rimangono, a prescindere da chi l'abbia causata.
E da qui, un'altra domanda ancora mi porto dietro da sempre: come si fa a far capire che quel dolore e queste morti (di civili innocenti) sono neutre e che sono sempre tali a prescindere dalla nazionalità e dalla religione?
La risposta me l'ha data due giorni fa il papà di Valeria Solesin, morta negli attentati di Parigi venerdì scorso, durante i suoi funerali :
"Lo straordinario sentimento di vicinanza, di stima, di affetto che mia moglie, mio figlio ed io abbiamo vissuto in tutti questi giorni acerbi, prima a Parigi poi a Venezia, richiede di rivolgere ora a tutte le altre vittime del mondo lo stesso senso di umana partecipazione."
La risposta me l'ha data due giorni fa il papà di Valeria Solesin, morta negli attentati di Parigi venerdì scorso, durante i suoi funerali :
"Lo straordinario sentimento di vicinanza, di stima, di affetto che mia moglie, mio figlio ed io abbiamo vissuto in tutti questi giorni acerbi, prima a Parigi poi a Venezia, richiede di rivolgere ora a tutte le altre vittime del mondo lo stesso senso di umana partecipazione."
Se possono e riescono persone come loro ad andare oltre il dolore, la morte, la rabbia e l'odio lo possiamo fare tutti noi. Facciamo appello alla nostra ragione e alla nostra razionalità per combattere tutto ciò.
Così, forse, la mia domanda non avrà più una risposta solo di dimensione personale ma, chissà, internazionale e interculturale.
Il compito è nostro. Andiamo oltre. Restiamo umani.
Noemi Petracin
GDTO
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