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INTERVISTA A CHIARA BRAGA


Dopo la pausa natalizia riprendono le nostre pubblicazioni. Cominciamo con una tematica che nel prossimo futuro avrà necessariamente un'importanza primaria, ovvero l'ambiente e in particolare la lotta ai cambiamenti climatici. Nel mese scorso, alla Conferenza COP21 di Parigi, sono state prese decisioni importanti in merito. Ne abbiamo parlato con l'On. Chiara Braga, Responsabile Ambiente nella Segreteria nazionale del Pd ed esponente della delegazione italiana alla Conferenza di Parigi 

1. Innanzitutto vorrei chiederti se sei soddisfatta dell'esito di questa conferenza e in che senso rappresenta un netto cambio di passo rispetto al passato.


Sì, lo sono, e non solo perché da delegata dal Parlamento Italiano alla COP21 di Parigi ho potuto registrare i tanti passi avanti fatti nei negoziati, ma per una serie di ragioni obiettive. L’accordo proposto a Parigi è sicuramente un primo passo, ma è importantissimo perché mette in moto il mondo intero per un obiettivo comune. Mai prima di questo summit  si era raggiunta un’intesa che coinvolgesse così tanti paesi su un tema cruciale per il futuro. Affrontare i mutamenti climatici significa non solo fronteggiare un pericolo, ma anche cogliere una grande opportunità. Quando parliamo della questione clima parliamo inoltre anche di  una nuova economia, basata sulle fonti rinnovabili, sul risparmio energetico, sul riciclo dei materiali, sulla mobilità sostenibile. Per la prima volta anche “piccoli paesi” come Cina, Stati Uniti, India e perfino Arabia Saudita accettano vincoli ambientali dall’esterno.



  1. Si è detto che l'accordo di Parigi è legalmente vincolante. Quali sono i meccanismi di controllo previsti dall'accordo? E come si agirà nel caso del mancato rispetto dei patti da parte di uno Stato?

Come avviene generalmente nel diritto internazionali gli accordi sottoscritti tra Stati sovrani sono “binding“, ovvero vincolanti, e vi sono misure di controllo e sanzioni comminate  dalle agenzie internazionali competenti che passano anche, ad esempio, per sanzioni economiche e commerciali. Ogni Stato poi a seconda del proprio ordinamento interno recepisce i termini dei trattati.  La prima valutazione dell’impatto degli accordi sarà compiuta nel 2023, altre seguiranno ogni cinque anni. Ma al di là delle misure di controllo conviene a tutti gli essere umani rispettare l’accordo e contenere efficacemente il cambiamento climatico.
  1. La conferenza non ha fissato dei limiti nazionali alle emissioni, ma si sono invitati i vari Paesi a proporre i tagli che ognuno di loro è disposto a fare. Tuttavia gli esperti delle Nazioni Unite hanno stimato che questi tagli sono insufficienti a contenere il riscaldamento globale entro i due gradi, indicando che porterebbero a un aumento di temperatura di 2,7 gradi, senza considerare gli effetti di retroazione. E' vero? Se sì, è ragionevole pensare di riuscire a correggere il tiro nei prossimi anni?
Come ho già detto prima gli accordi internazionali vengono poi recepiti all’interno dell’ordinamento interno autonomamente, così come sempre avviene per il diritto internazionale e vi sarà una road-map di controllo degli obiettivi raggiunti e dei vincoli rispettati o meno. Non nascondo però che vi sono alcuni, e.g. anche esperti  dell’IPCC, che contestano la validità delle misure per contenere l’innalzamento della temperatura media al di sotto dei 1.5-2 C° ed  anche la troppa enfasi data al successo dell’accordo in Francia. Sottolineando il fatto che “l’obiettivo finale sia vincolante ma gli strumenti per arrivare a questo risultato no”. Io sono fiduciosa del fatto che la strada segnata a Parigi darà buoni frutti anche perché per la prima volta non ho potuto sentire al summit internazionale nessuna voce “negazionista” e tutti i 195 paese presenti avevano coscienza che “there’s no planet B” ovvero non c’è un altro pianeta di scorta, come ho letto nei molti cartelli delle marce per il clima che hanno salutato l’apertura della COP21 in tante città del pianeta.

4. I Paesi più sviluppati stanzieranno in favore dei Paesi in via di sviluppo un fondo da 100 miliardi l'anno fino al 2020. Come verranno utilizzate queste risorse? 



L’Italia salutando il successo dell’accordo sul clima nella Ville Lumière ha annunciato di voler fare la sua parte impegnandosi subito per otto milioni di dollari in un fondo per elettrificare in 10 anni l’Africa e per altri 5 milioni contro il climate change e l'acqua. Il contributo per un totale di 13 milioni di Euro per lo sviluppo delle rinnovabili e per azioni sul clima avverrà’ attraverso la Banca Africana di Sviluppo. per sostenere i paese più poveri  verso una crescita sostenibile ed inclusiva. Francia farà altrettanto per le sue ex-colonie. Altre iniziative saranno coordinate a livello comunitario.
5. Per quanto riguarda l'Italia, è già delineata una strategia energetica e industriale per rispettare gli impegni presi in termini di riduzione delle emissioni?
Già nel 2012 l’Italia era prima (con il 39%) tra i grandi paesi Ue, a pari merito con la Spagna, per quota di energia rinnovabile nella produzione elettrica. Oggi la quota di energia rinnovabile nella nostra produzione elettrica ha superato il 43%. Siamo, inoltre, primi al mondo per contributo del fotovoltaico nel mix elettrico nazionale con il 7,9%, davanti alla Germania (7%). Siamo  inoltre primi in Europa  nel riciclo industriale: recuperiamo 25 milioni di tonnellate di materia ogni anno sui 163 totali europei, la Germania che ha un’economia più grande 23, questo ci consente un risparmio di energia primaria di oltre 15 milioni di tep e di evitare 55 milioni di tonnellate di emissioni di CO2. E come forse si sa il nostro Paese rispetta già da tempo i limiti fissati allora dal Protocollo di Kyoto al 2020 e anche al 2030. Questo non vuol dire che dobbiamo stare fermi l'obiettivo è essere 100% rinnovabili in futuro. Certo è che a fronte dei nuovi obiettivi di Parigi io credo che sia opportuno riaprire una discussione sulla SEN, coerente con il quadro europeo sul modello industriale del futuro, che possa cogliere al meglio le opportunità e che tenga conto ad esempio di scelte, come quelle di Enel che chiuderà 20 centrali a carbone, che vanno chiaramente nella giusta direzione. 


 6. Sempre a questo proposito, è realistico pensare a un'esportazione di tecnologia italiana sull'efficientamento energetico e sulle energie pulite? In altre parole, la sfida ambientale può rivelarsi anche un'opportunità di crescita per il Paese?



La sfida ambientale per l’Italia è, come già descrive la domanda, un’enorme opportunità. In molti campi, pensiamo ad esempio alle bioplastiche, agli inverter dei pannelli solari, alla produzione di elettrodomestici ad alta efficienza, a pale eoliche innovative, alla produzione agroalimentare con la minore emissione di CO2 vinciamo in export siamo tra i primi al mondo. Le politiche green sono infatti una risposta alla crisi che ci stiamo fortunatamente lasciando alle spalle. Dal 2008, 372mila imprese hanno puntato sulla sostenibilità in funzione anticrisi. E hanno vinto: nella manifattura, il 43,4% di chi investe green esporta, contro il 25,5% di chi non investe. Questo ha ricadute positive anche sul mondo del lavoro: hanno a che a fare con l’ambiente il 59% dei nuovi posti di lavoro prodotti quest’anno. È un punto di partenza e non un punto di arrivo, un capitale da investire nel futuro e da mettere a disposizione anche degli altri paesi, a cominciare dai partner europei.


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