Siamo nel 1970: con un compromesso
politico tra correnti cattoliche e laiche in Parlamento e a ben
ventidue anni di distanza dall’entrata in vigore della
Costituzione, viene promulgata la legge contenente la disciplina
operativa del referendum. Due anni dopo, l’ala cattolica userà
proprio questo nuovo strumento per promuovere il primo referendum
abrogativo, avente ad oggetto la legge sul divorzio. Credendo di aver
compiuto il colpo del secolo, i promotori si avvieranno a uno smacco
molto singolare, soprattutto perché avvenuto nella cattolicissima
Italia: i cittadini vanno a votare, sì; lo fanno in gran numero,
certo; decidono, però, che il divorzio poi troppo male non è, e al
diavolo il sacro vincolo.
Fatto salvo il caso sopra descritto, il
referendum in Italia non è mai stato visto di buon occhio dalle
forze politiche. Formula principe della democrazia diretta, in un
sistema rappresentativo è comprensibile, ma non condivisibile, che
esso venga osteggiato dagli attori politici.
Non sono un sostenitore della
democrazia diretta, ma non condire, almeno in parte, l’applicazione
del metodo rappresentativo con strumenti partecipativi e direttamente
inclusivi del cittadino nella vita politica del Paese rivela la
miopia che condiziona la nostra classe politica e gran parte di
quella europea da molti anni. E adesso chiarirò perché la vedo in
questo modo.
C’è sempre stata la stolida
concezione, qua in Europa, che un sistema democratico avesse dalla
sua una caratteristica fondamentale tale da renderlo più forte e
durevole nel tempo rispetto a totalitarismi e dittature varie. E cioè
che, una volta “avviata” la democrazia in un paese, essa si
auto-sorregga per sempre, non avendo bisogno di altri incentivi per
andare avanti nella sua applicazione, che della propria esistenza
stessa. Di contro, si pensa che un sistema autoritario necessiti
la somministrazione di costanti disincentivi al rifiuto della
tirannide, verso la popolazione. Purtroppo (per la prima), tanto la
democrazia che la dittatura non possono fare a meno di avvalersi di
continue spinte, tese alla conservazione dell’esistente. Queste
spinte non possono arrivare se non da chi sta al vertice del sistema
e detiene autorità e il tipo di legittimazione weberiana che si
preferisca.
Così arriviamo ad oggi. Precisamente,
arriviamo alla dichiarazione sul referendum sulle trivellazioni del
Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Senza consultare, peraltro, la
Direzione Nazionale del partito, egli ha dato ordine agli elettori
del Partito Democratico di astenersi e non andare a votare il 17
Aprile. In questo modo non si raggiungerebbe il quorum richiesto e il
referendum verrebbe annullato.
Comprendo che tutto ciò che le Regioni
promuovono autonomamente continui ad essere motivo di grandi mal di
pancia a livello nazionale, soprattutto se in aperta dialettica con i
programmi governativi, come in questo caso. Eppure non posso che
rimanere perplesso e non vedere, in una dichiarazione del genere, una
esatta espressione di quella politica miope sopra descritta, che
ha fatto ammalare le nostre democrazie.
Se il Governo ritiene adeguato incitare
all’astensionismo i cittadini, che faccia. Non sarà certo la mia
parola a poter influenzare la situazione, contando che non riesco a
influenzare nemmeno quello che posso mangiare a cena. Però posso
comunque continuare a pensare e penso che l’astensionismo di oggi
potrebbe essere quello di domani. Elevato al cubo, magari. Quando la
gente se ne fregherà di interessarsi, informarsi davvero su un tema
(e non all’ultimo secondo), quando non andrà a votare alle
amministrative e alle politiche, allora rideremo.
Per ciò che il Partito Democratico
aspira ad essere, per come si vuole evolvere ed assurgere a vero
motore progressista del Paese, trovo che misure di questo tipo non
coincidano con le dette politiche propugnate a livello ideale e tutto
questo favorisca la crescita e il diffondersi di populismi, già
pericolosamente radicati nella società.
Ho sostenuto molte (ma non tutte) delle
politiche portate avanti dal nostro Primo Ministro. Ho condiviso
molte delle sue dichiarazioni, in particolare le molte di politica
estera. Ma questa volta no, mi dispiace. Questa volta l’errore è
grande e se il PD e il Governo pensano di poter continuare su questa
strada, non posso che far(ci) tanti auguri per il 2018.
*titolo liberamente e molto
vagamente ispirato al libro di Murakami Haruki: “L’incolore Tazaki
Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio”
Simone Bigi
GDTO
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