Del referendum del 17 aprile già ho
scritto, in un articolo che raccogliesse dati, pro e contro della
questione. Quello che mancava in tutte le discussioni era però un
dibattito serio sulla politica energetica italiana, uno scambio di
opinioni che sapesse superare la paralisi argomentativa e spaziale
alla quale il dibattito referendario ci ha condannati.
In considerazione di tutto questo, ho
deciso di andare a parlare con un esperto della materia,
precisamente, Pierluigi Leone, professore associato del Dipartimento
di Energia al Politecnico di Torino.
Non una vera intervista, quella che è
venuta fuori è stata una lezione sull’energia, una considerazione
dell’argomento di ampio respiro e che sulle trivelle, come vedremo,
ben poco si sofferma. Ad esse la conversazione solo si affianca e se
le lascia alle spalle, si libera degli stilemi logori che costringono
il dibattito pubblico e abbraccia problematiche delle quali nessuno,
in tv, avrà voglia di raccontarvi nulla.
1)
Professore, come si struttura la politica energetica italiana?
Intanto
è opportuno ricordare che l’Italia è un paese importante da un
punto di vista economico ed industriale e che le politiche
energetiche devono essere pertanto commisurate a tale rilevanza.
L’Italia ha un consumo di energia primaria lorda pari a 151 milioni
di tonnellate equivalenti di petrolio, con un valore di produttività
energetica dell’economia di 10,3 €/ kep*
(prima a pari merito
con l’Inghilterra tra le economie più ricche al mondo). Questa
grandezza è una misura di come l’energia viene utilizzata per
produrre ricchezza nel paese e da questo punto di vista l’Italia è
un paese virtuoso.
Nel
mix energetico nazionale il petrolio ha il ruolo primario
contribuendo al 37% dei consumi finali lordi, seguito da gas naturale
con il 34% e le fonti rinnovabili al 18%. Il 12% è invece relativo
ad altri consumi tra cui carbone ed energia elettrica importata
dall’estero. Queste percentuali evidenziano come il nostro sistema
sia ancora decisamente dipendente dai combustibili fossili.
Tuttavia,
grazie al mix energetico ricco di fonti rinnovabili e gas naturale,
l’Italia ha un fattore di emissione di carbonio del proprio sistema
energetico (circa 15 tC/TJ) in linea con la media Europea ed
inferiore alla media globale del 2010 (di circa 19 tC/TJ). Il sistema
energetico si sta, dunque, decarbonizzando,
seppur lentamente, grazie alle politiche implementate a livello
europeo.
*kep: chilogrammo equivalente di petrolio. Una unità di misura utilizzata è anche il tep, ovvero la tonnellata equivalente di petrolio che equivale a circa 42 GJ.
2) Sono stati fatti passi avanti verso l’obiettivo europeo del 2020?
All’ultimo
COP21 di Parigi, l’Unione Europea ha dichiarato, a nome degli stati
membri i propri impegni per la riduzione di emissioni di gas serra,
indicando un obiettivo vincolante di riduzione delle emissioni del
40% al 2030 rispetto ai livelli del 1990.
Le
proiezioni dell’International Energy Agency indicano una riduzione
del 33% delle emissioni di gas serra al 2030 rispetto ai livelli del
1990 nello scenario New Policies che tiene conto delle principali
politiche già previste che si devono implementare. Dunque, l' Unione
europea non è perfettamente allineata al suo obiettivo.
A
maggior ragione la Roadmap europea 2050, che prevede una riduzione
dei gas serra di 80-95% rispetto ai livelli del 1990 sembra al
momento un obiettivo irraggiungibile.
Parlando
dell' Italia nello specifico la Strategia Energetica Nazionale (SEN)
del 2012, pur rappresentando un punto di partenza significativo e in
linea con gli obiettivi europei del 2020, non è in grado di reggere
gli obiettivi del 2050. Pertanto sarà necessario molto presto un
rilancio delle politiche energetiche europee e nazionali.
3) Rimanendo sull' argomento della COP21, qual è lo scenario nazionale che si prospetta nel futuro a livello energetico?
Ora,
l’obiettivo condiviso dall’Italia e promosso nell’ambito del
COP21 dall’Unione Europea è la riduzione delle emissioni di gas
serra del 40% entro il 2030. Per raggiungere uno scopo così
ambizioso, non esiste comunque uno scenario realistico, che preveda
l’abbandono delle fonti fossili a medio termine. Ad esempio, nello
scenario dell’Agenzia Internazionale per l’Energia, che prevede
il mantenimento delle concentrazioni di gas serra in atmosfera sotto
i livelli di 450 ppm, il mix energetico europeo vedrebbe ancora il
contributo del mix dei combustibili fossili al 55%, magari accoppiati
a sistemi di cattura e stoccaggio di anidride carbonica.
4) Per
uno scenario del genere, al contrario di quanto avverrebbe con la
vittoria del SI al referendum, non sarebbe meglio implementare la
coltivazione di gas metano?
Sicuramente,
il maggior uso del gas naturale in sostituzione del petrolio,
contribuirebbe a decarbonizzare il sistema energetico, perché il gas
ha un rapporto di atomi di idrogeno per atomi di carbonio pari a
quattro e superiore rispetto a gli altri combustibili fossili. Si
deve inoltre aggiungere che il gas naturale offre una variegata
possibilità di applicazioni anche in quegli ambiti in cui le
rinnovabili, per le proprie caratteristiche fisiche, hanno meno
opportunità di penetrazione, ad esempio il settore trasporti oppure
come fonti di materie prime quali carbonio o idrogeno.
5) L’Italia ha contribuito allo sviluppo delle rinnovabili? In che misura?
Dal
1990 il contributo medio europeo di crescita delle rinnovabili è
stato del 4% annuo. In Italia, la crescita è stata del 7% circa
all’anno. Per rendersi conto dell’impegno profuso, basta
ricordare che in Germania, paese tradizionalmente con politiche molto
aggressive sulle rinnovabili, questo dato sale a poco più dell’8%.
Da sempre, l’Italia ha sofferto della bassa produzione interna di risorse. Nel 2014, la produzione interna di risorse energetiche è stata di circa 37 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio con il contributo delle fonti rinnovabili del 55%, seguite dalla produzione di gas naturale (16%) e petrolio (16%).
Il
livello delle importazioni è molto alto rispetto alla media dei
paesi europei. Questo significa, che la dipendenza energetica
italiana espressa dal rapporto tra le importazioni nette e i consumi
lordi finali più i bunkeraggi è superiore al 75%. Da questo punto
di vista l’Italia precede in classifica solo Irlanda, Belgio,
Lussemburgo, Cipro, e Lituania.
La
produzione nazionale di gas e petrolio ammonta a circa l’11% del
nostro consumo nazionale. Gran parte della produzione di gas (circa
67%) avviene su piattaforme off-shore mentre la restante produzione
avviene su giacenti su terra. Viceversa gran parte della produzione
petrolifera (circa 87%) avviene in giacimenti sulla terra ferma con
la restante quota proveniente da impianti offshore
Le
piattaforme di gas e petrolio localizzate entro le 12 miglia marina
dalla costa sono 92 di cui solamente 48 sono attualmente in
produzione. Esse producono rispettivamente circa il 25% e il 10%
della produzione nazionale di gas e petrolio (1.46 e 0.55 Mtep
rispettivamente).
7) Parliamo di efficienza del rinnovabile: in futuro dovremo comunque garantirci la copertura energetica necessaria, per mantenere il nostro modello di vita e sviluppo. E' possibile farlo rinunciando alle energie fossili?
Dobbiamo
fare uno sforzo e provare ad immaginare quanti e quali siano i
prodotti di cui facciamo uso quotidiano, la cui produzione,
trasformazione, distribuzione e consumo sono legati all’utilizzo di
gas e petrolio.
Gran
parte degli usi finali di gas in Italia, circa il 46%, sono relativi
al riscaldamento di ambienti residenziali, commerciali o servizi
pubblici nonché alla cottura dei cibi. Una quota rilevante è
utilizzata per la produzione di energia elettrica, circa il 36%.
Mentre queste applicazioni sono di facile intuizione e richiamano
direttamente il concetto di energia, vi è poi una quota molto
rilevante, poco meno del 20% che invece viene utilizzata per la
produzione di beni che utilizziamo tutti i giorni e che non
colleghiamo direttamente agli utilizzi energetici. Stiamo parlando
della produzione di ferro e acciaio, prodotti chimici e petrolchimici
come ad esempio i fertilizzanti che utilizziamo per produrre i nostri
cibi, altri metalli e minerali, e poi il settore cartario, il tessile
e la pelle, il tabacco e la produzione alimentare, la produzione di
macchinari; infine il settore trasporti.
Degli
utilizzi di petrolio sia come fonte di energia che come fonte di
materie prime (in primis carbonio ed idrogeno), solo una piccola
quota (circa 9%) è usata per la produzione di energia elettrica. Il
settore residenziale, commerciale e i servizi pubblici, ne utilizzano
circa il 6% mentre una quota di circa il 15% è impiegato in
agricoltura o settori non energetici. La quota maggiore è impiegata
nel settore dei trasporti con circa il 64% di cui una quota rilevante
è utilizzata per il trasporto interno aereo e navale.
Da
un punto di vista più tecnico, si deve poi osservare come parte
degli usi che abbiamo discusso, presentano delle caratteristiche
peculiari che vale la pena evidenziare introducendo degli elenchi
puntati:
- Richiesta di alta densità di potenza nei processi industriali di produzione di massa
- Richiesta di materie prime come carbonio o idrogeno necessari a sintetizzare prodotti di consumo quotidiani
Circa
il 23% dei consumi finali di gas e petrolio in Italia sono destinati
ad attività che richiedono o elevate densità di potenza, come ad
esempio i processi industriali che richiedono tra 100 e 2000 W/m2
con picchi di 5000
W/m2
per la produzione di
acciaio, oppure materiali grezzi come carbonio o idrogeno o azoto per
la sintesi dei fertilizzati.
Oggi
non vi sono tecnologie basate su fonti rinnovabili in grado di
garantire queste elevate densità di potenza (i valori più
rappresentativi sono inferiori a 10 W/m2).
D’altra parte, la fornitura di materie prime può avvenire
solamente attraverso l’utilizzo di biomasse ma queste ultime hanno
una densità di potenza molto bassa in quanto limitate
dall’irradianza media solare e dalle efficienze fotosintetiche. Si
stima che a livello globale, il consumo di territorio per usi
energetici sia complessivamente inferiore al 1% delle terre libere da
ghiacci e circa il 56% di questa quota è usata per crescere colture
destinate alla produzione di biocombustibili. Non dimentichiamoci la
competizione con le attività di produzione di cibo.
La
riduzione del ‘carbon-lock in’ di certi settori dell’economia è
pertanto una sfida molto ardua che probabilmente richiederà ancora
uno sforzo multi-generazionale. L’utilizzo di idrocarburi,
nazionali o di importazione che siano, sarà probabilmente ancora
necessario per alcuni decenni a venire in certi settori dell’economia
come ad esempio la produzione di acciaio o cemento, nei trasporti
aerei e navali. Può essere utile una riflessione in tal senso:
alcuni paesi europei, come ad esempio la Francia, che hanno un
sistema energetico più decarbonizzato rispetto alla media (poco più
di 9 tC/TJ), sono anche quelli maggiormente interessati del fenomeno
del carbon
leakage,
ovvero delle emissioni di anidride carbonica localizzate in paesi
stranieri (tipicamente in via di sviluppo) per la produzione di beni
che vengono poi consumati in Francia. In sostanza le emissioni
continuano ad esserci seppur localizzare in un altro luogo del mondo
che ahinoi, condivide la stessa nostra atmosfera…
8) Cosa
manca? Quale è la sua impressione sul dibattito referendario?
Il
dibattito sul quesito referendario, quando non esplicitamente
espressione di bagarre politica, si è ridotto ad una
contrapposizione sorda di opzioni tecniche con il risultato di
pervenire a semplificazioni inaccettabili, di proliferare di luoghi
comuni, di far leva sulle paure irrazionali della collettività, di
confondere infine ed inevitabilmente i mezzi con i fini; insomma
perdere un occasione per riflettere in maniera costruttiva sulla
questione energetica moderna.
Credo
manchi una visione sulla natura multi-dimensionale della questione
energetica che includa l’aspetto ambientale, quello economico,
quello sociale e geopolitico, quello umano per citarne alcuni. Questa
questione è complessa, ovvero i diversi elementi non possono essere
considerati separatamente ed è globale perché investe aspetti che
hanno dimensione planetaria; pensiamo ad esempio ai cambiamenti
climatici in corso e legati alle attività umane oppure alla povertà
di intere regioni del mondo che non hanno accesso alle forme moderne
di energia per la cottura dei cibi e per altre attività.
Credo
poi che sfugga ancora un aspetto ed è la natura paradossale della
questione energetica. Da un lato, non riusciamo a capire, che questo
strano concetto, l’energia, è un flusso che attraversa tutte le
azioni della nostra vita ed è dirimente per ottenere benessere e
prosperità. La storia del fiorire delle civiltà moderne e dei loro
progressi nelle scienze, tecnologie e società si può in qualche
modo commentare con la crescente capacità di utilizzare dei flussi
energetici. Dall’altro lato, gli utilizzi energetici sempre
comportano un impronta dell’azione umana sull’ambiente, sin da
quando l’uomo ha cominciato la sua avventura sul pianeta e oggi in
maniera sempre più estesa e preoccupante. Il ritmo attuale del
consumo di energia con l’attuale mix energetico comporta
cambiamenti importanti e irreversibili dell’ambiente, determina
mancanza di opportunità a livello sociale ed economico di larga
parte della popolazione mondiale e può scatenare tensioni
geopolitiche.
Cioè,
mi sembra che manchino alcuni termini per collocare in maniera
adeguata il dibattito referendario. Si potrebbe dire in breve che
manchi una educazione alla questione energetica che porta
inevitabilmente a ridurre la complessità della questione e cercare
di affrontarla solo sul terreno della contrapposizione delle opzioni
tecniche.
A
me sembra che il quesito referendario sia di fatto più un tema di
politica economica o industriale piuttosto che di visione energetica
che possa avere un impatto significativo sui problemi di cui sopra. A
me sembra vada affrontato sotto questo aspetto.
Si
sta perdendo forse una opportunità per discutere e perché no,
incalzare il governo, su come intende porsi sullo scenario Europeo ed
internazionale per affrontare la questione energetica e rilanciare le
politiche di innovazione, quelle ambientali e la cooperazione
internazionale…quale sia la visione e l’impegno rispetto alle
grandi sfide dell’umanità, di cui la questione energetica fa
parte. Ci si preclude in definitiva di capire che la transizione
energetica deve essere un mezzo per ottenere un progresso delle
comunità umane che sia materiale, sociale e spirituale e non fine a
se stessa come sembra scaturire dal dibattito pubblico; l’uomo deve
essere posto al centro della transizione energetica. Chiedersi in
definitiva quale sia il significato di progresso e il ruolo che si
vuole giocare come paese e come individui per conseguirlo, tenendo
conto che è necessaria una responsabilità non più divisibile nello
spazio e nel tempo.
*Vorrei
concludere dicendo che le riflessioni scaturite in questa intervista
sono il frutto di un intesa attività svolta negli ultimi anni
nell’ambito del corso di Energia, progresso e sostenibilità del
Politecnico di Torino fortemente voluto dal Prof. Michele Calì e
maturate dopo lunghe discussioni con alcuni colleghi tra cui vorrei
citare Andrea Lanzini e gli stessi studenti. Se volete approfondire
il tema, sarà disponibile a partire dal prossimo Maggio 2016 un MOOC
dal titolo “The strange paradox of the world energy question” sul
sito https://www.pok.polimi.it/!
*
Disegno di Ramses Morales Izquierdo
Simone
Bigi
GDTO
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