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NAZI-VEGANI O NAZI-CARNIVORI?



C’è un dibattito, non prettamente politico, che di solito rimane sotteraneo e nascosto, ma a cui basta davvero poco per emergere in superficie con una forza esplosiva. E’ un dibattito etico che coinvolge la nostra concezione di ciò che è bene e di ciò che è male che mette sul tavolo i nostri valori, la nostra rappresentazione del mondo e i nostri sentimenti. Forse è per questo che molti preferiscono non pensare alle implicazioni della questione; perché rifletterci in modo profondo potrebbe portare a identificare noi stessi con qualcosa di molto diverso rispetto a ciò che pensiamo di essere o vorremmo essere.
Il fatto se sia giusto uccidere degli animali per cibarsene è una questione che non può rimanere sotterranea, ma deve essere oggetto di una riflessione personale che ci spinga ad assumere una posizione consapevole e coerente con i nostri valori e con ciò che siamo o aspiriamo ad essere.
Parlare di “vita” e di “morte” non può essere un discorso che ci lascia indifferenti, specialmente se siamo attori protagonisti degli eventi che ne sono causa.
Il problema non è di facile soluzione, diverse sono le interpretazioni possibili, ma ciò che mi preme è trattare la questione non come un terreno di scontro tra "nazi-vegetariani" (e talvota "nazi-vegani") e "nazi-carnivori", ma piuttosto come un terreno di confronto dove entrambe le parti possono addurre motivazioni sensate. Per far questo è innanzitutto necessario fare un po' di pulizia tra argomentazioni che un senso, invece, non ce l'hanno.
Ad esempio ha poco senso argomentare la propria posizione dicendo “siamo onnivori, la natura ci ha creato così”. Essenzialmente perché non bisogna confondere la possibilità con la necessità e non bisogna prescindere dal fatto che l’ uomo è un essere razionale in grado di resistere a dei bisogni immediati in vista di scopi più alti e meritevoli. Nessuno se la prenderà mai con un leone perché uccide le zebre semplicemente perché nel suo caso la possibilità e la necessità coincidono e soprattutto perché il leone non ha un grado di razionalità tale da renderlo in grado di compiere scelte morali. Noi però non siamo il leone, quindi accantoniamo tranquillamente la prima argomentazione.
Argomentazione numero due: “gli animali non sono esseri umani, la loro vita non conta come la nostra”. E’ un’ argomentazione già con un senso più compiuto, ma comunque tendente a distorcere la questione reale. Infatti, individuare una sorta di gerarchia di valore tra vite è un’ idea che trova riscontro anche nel semplice buonsenso: la vita di un piccione conta meno di quella di un uomo, ma più di quella di una zanzara. Però dire che una vita conta meno di un’ altra non vuol dire che non conti nulla. Potrebbero essere messi in campo anche dei criteri squisitamente logici per valutare il valore di una vita. I principali potrebbero essere legati: a quanto un determinato essere vivente può potenzialmente ricavare dalla sua vita in forma di benessere materiale e benessere spirituale (ossia quanto il soggetto è in grado di provare emozioni e sentimenti profondi); a quanto la vita o la morte dell’ essere vivente incida sul benessere e la sfera sentimentale di altri soggetti. Entrambe le determinanti, sono nell’ uomo estremamente rilevanti e proprio per questo siamo soliti pensare che la vita dell’ uomo valga più di quella di qualsiasi altro essere vivente. Però anche alcuni animali (oltre all’ uomo) hanno una sensibilità, una sfera affettiva e sentimentale molto sviluppata, come i cani per fare un esempio su cui siamo tutti d’ accordo, e non si può pensare che la loro vita possa essere tenuta accesa o essere spenta a nostro capriccio come fosse un interruttore della luce.
Per compiere una riflessione con un senso partirei dal criterio che sta alla base di qualsiasi ragionamento razionale ossia quello dell’ analisi costi-benefici. Il beneficio della scelta di mangiare carne risiederebbe sostanzialmente nel piacere stesso di cibarsi di questo alimento nonché nell' apporto nutritivo della carne. Proprio l' apporto nutritivo apre una questione rilevante ossia quanto sia positivo per l'uomo consumare carne. Consultando il sito dell' AIRC (Associazione italiana per la ricerca sul cancro), emergono risultati non troppo incoraggianti: "La carne rossa - e in particolare la carne rossa lavorata - è un cancerogeno umano, cioè è in grado di indurre mutazioni a livello del DNA delle cellule. Una gran mole di studi condotti nel tempo ha dimostrato che un consumo abbondante di carne rossa, soprattutto se lavorata e cotta ad alte temperature, aumenta il rischio di sviluppare molte malattie, prima fra tutte il cancro al colon-retto. È bene quindi limitare il consumo di proteine animali e sostituire la carne rossa, ogniqualvolta possibile, con pollo o pesce, o meglio ancora con proteine vegetali come i legumi e la soia" inoltre anche "un consumo modesto di carni rosse" è "associato a un maggior rischio di sviluppare diabete e malattie cardiovascolari" e si aggiuge che "moltissimi studi negli ultimi anni hanno messo in luce i benefici generali sulla salute di diete vegetariane". Quindi, se si è in grado di bilanciare correttamente gli alimenti in una dieta vegetariana, non solo non si rischia un deficit nutrizionale, ma si guadagna in salute. L' unico beneficio, dunque, rimane quello del piacere di consumare carne.
I costi quali sono? Prescindendo dai discorsi legati alla salute e all' impatto ambientale che sono scientificamente dimostrati, i problemi principali sono legati alle condizioni di vita degli animali e alla loro uccisione. Il problema delle condizioni di vita però riguarda oltre alla questione "è giusto cibarsi di animali?" anche la questione "è giusto cibarsi di prodotti derivati dagli animali?". Infatti, se l'allevamento avviene in condizioni tali da rendere degradata e sofferta l'esistenza di un essere vivente il problema sussiste a prescindere dal modo in cui la vita dell'essere in questione si concluda. Per questo, oltre alla scelta di diventare vegani, e non semplicemente vegetariani, potrebbe essere utile una presa di coscienza dal basso in grado di stimolare la legislazione a prendere provvedimenti più stringenti sulla questione (in parte ci si è già mossi in questa direzione).
Sul fatto se sia eticamente giusto uccidere gli animali possono esserci diverse interpretazioni. Da un punto di vista estremamente pragmatico si potrebbe dire che, garantiti degli standard di vita accettabili e un' uccisione rapida e indolore, non solo non è immorale allevare gli animali per poi ammazzarli, ma sarebbe più immorale non farlo. Infatti, senza l' allevamento, le vite che vengono stroncate dopo alcuni anni non verrebbero proprio a esistenza, il che razionalmente può apparire peggiore. Da un punto di vista più emotivo e, specificamente, empatico la situazione viene considerata in modo opposto. L' atto di uccidere ci appare più grave di quello di non far nascere. Probabilmente, molti tra quelli che consumano carne in modo abituale, guardando uccidere gli animali, non rimarrebbero impassibili e ancora più probabilmente non ucciderebbero in prima persona un vitello piuttosto che un cavallo. Questo perchè oltre a essere soggetti razionali siamo anche soggetti sensibili e se la ragione dà forma alla vita, i sentimenti la riempiono.

Simone Santoro
GDTO

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