Quando
36 anni fa Steve Jobs decise di inaugurare a Cork la prima sede
operativa di Apple in Europa con 60 dipendenti, non sapeva che la sua
azienda da più di 1,5 milioni di posti di lavoro sarebbe stata
colpita oggi nel cuore del vecchio continente. E dal virus più
minaccioso che esiste per un’azienda del terzo millennio: le tasse.
La
Apple, una dei maggiori contribuenti in Irlanda, negli Stati Uniti e
nel mondo, è stata infatti ferita da una dura sentenza della
Commissione Europea emessa il 30 agosto: 13 miliardi di Euro di
recupero credito.
Non
una multa come erroneamente viene detto in questi giorni, ma un
semplice provvedimento di riscossione nei confronti della casa
americana, che avrebbe usufruito di aiuti fiscali illegittimi da
parte dello stato irlandese, riservandole pertanto un conseguente
trattamento migliore rispetto alle altre aziende. Nel procedimento
sul trattamento fiscale di Apple, dunque, vengono vagliati gli
accordi che l'azienda ha siglato con l'autorità fiscale irlandese
nel 1991, rivisti nel 2007, al fine di garantire le condizioni per
una giusta concorrenza tra imprese sul mercato.
Posizione
ovviamente ribattuta dalla casa dell’I-Phone in una lettera scritta
a tutti i clienti Apple dallo stesso patrono Tim Cook: l’azienda si
sarebbe avvalsa delle indicazioni dell’autorità irlandese nel
rispetto delle normative esistenti, l’iniziativa della Commissione
ignora le normative fiscali irlandesi e sovverte l’intero
meccanismo fiscale internazionale, dando un duro colpo al principio
stesso della certezza del diritto in Europa. Cook continua dicendo
che alla casa statunitense sarebbe stato commissionato di versare
retroattivamente (per la serie “Back to the future” come dice lo
slogan Apple) tasse aggiuntive a un governo che afferma di non dover
riscuotere più di quanto abbiano già fatto. Pertanto, il ricorso in
appello dimostrerà il vero ordine delle cose, e la necessità sempre
più impellente di una riforma della normativa fiscale
trans-nazionale, più semplice e trasparente, tenendo insieme
interessi locali e internazionali in un regime di concorrenza leale.
La
commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager ha informato che
l’accordo fiscale illegittimo (tax
ruling, in
inglese) per cui a Apple oggi è richiesto di versare 13 miliardi di
euro (più gli interessi!!) ha in maniera considerevole, ma artificiosa,
abbassato le tasse dovute da Apple all'Irlanda: i profitti, in
sostanza, non venivano registrati dove erano prodotti. Per essere
precisi la
Apple Sales International, è la società che formalmente vende i
prodotti fuori dall'America, cioè quella a cui arrivano gli incassi
da un negozio di Roma o Berlino per intenderci. Ma questi profitti,
grazie agli accordi, erano allocati a un head office fittizio e solo
in minima parte rimanevano alla filiale irlandese. Quindi, solo una
piccola percentuale veniva tassata in Irlanda, mentre il resto
sfuggiva.
La
Commissaria ha aggiunto che “questa
decisione lancia un messaggio chiaro. Gli stati membri non possono
aiutare alcune imprese a spese della libera concorrenza. Spetta ora
al governo irlandese decidere l'esatto ammontare del rimborso e le
modalità con le quali Apple dovrà rimborsare le tasse non versate”.
Eppure,
quello che Steve Jobs creò 36 anni fa era il preludio di un semplice
slogan in apparenza, “Think different”, ma capace di cambiare le
identità collettive e costruirne di nuove, anti conformiste,
ribelli, capaci di vedere secondo uno sguardo diverso. Qualcosa
capace di essere ignorato forse, ma indubbiamente senza esito, perché
la possibilità di cambiare le cose fa progredire l’Umanità. Che
sia folle o geniale, il mondo Apple ha creato davvero un modo di
pensare differente, tanto da far pensare di cambiare il mondo
davvero. E chissà se i legali del colosso US riusciranno anche a far
pensare differentemente la politica fiscale europea, o daranno la
spinta necessaria affinché quella riforma fiscale trans-nazionale
tanto necessaria finalmente si compia.
ELEONORA AVERNA
GDTO
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