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Non è una “Mela” al giorno la soluzione?



Solo qualche settimana fa ci eravamo soffermati su uno dei casi più spinosi rispetto agli equilibri monetari dell’Unione Europea: il caso Apple.

Sull’azienda americana pende infatti l’accusa di aver approfittato di accordi fiscali favorevoli da parte dell’Irlanda, potendo così versare meno tasse sui prodotti venduti.
Nel mirino di Bruxelles infatti ci sarebbero due tax ruling del 1991 e del 2007, accordi fiscali relativi agli utili imponibili di due società di diritto irlandese appartenenti al gruppo Apple, per la precisione Apple Sales International e Apple Operations Europe. A queste facevano capo tutti i profitti derivati dalle vendite in Europa.
Apple, secondo l’UE, riusciva a far tassare solo una piccola parte di questi utili, con la favorevole tassazione irlandese pari al 12,5%. Il resto, veniva invece attribuito a una sede centrale: peccato che non esistesse nessun ufficio reale, dipendenti, o tanto meno attività, fatto salvo sporadiche riunioni del Consiglio di Amministrazione, pare di durata non superiore ai 20 minuti. Sebbene la casa di Cupertino sia rinomata in quanto a efficienza e record, pare un tempo assai troppo poco credibile per un CdA!

A distanza di settimane, a seguito del giudizio della Commissione Europea in cui si ordina a Apple di versare 13 miliardi (più interessi) di tasse arretrate a favore dell’Irlanda, ciò che fa riflettere e colpisce nel quadro finanziario internazionale non è tanto la strategia della casa della Mela, quanto più la stretta e sempre più ferma alleanza con lo stato Irlandese. Il Ministro delle Finanze Michael Noonan, infatti, ha parlato di invasione di campo nelle prerogative in materia fiscale degli Stati membri, tentando di difendere l’integrità del sistema di tassazione, e dare certezza fiscale al business. Ovviamente in totale disaccordo con le motivazioni fatte valere dalla commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager, forte di un’inchiesta durata 3 anni proprio per avere solide basi in grado di superare il vaglio della Corte.

Un paradosso? Di certo fa riflettere il fatto che un paese come l’Irlanda, il quale si trova di colpo a poter incassare circa 18 miliardi di euro, pronti a raddrizzare grossi deficit di bilancio pubblico, decida di schierarsi proprio dalla parte di coloro che quei soldi dovrebbero versarli nelle proprie casse. Come mai, dunque, Dublino preferisce davvero allearsi col colosso statunitense, scaturendo un classico effetto domino su tante altre aziende che, come la Apple, usufruiscono del regime fiscale nell’isola?
Si tratta di un caso senza precedenti, i cui esiti avranno effetti su tutti gli equilibri dell’Unione, sulle politiche fiscali in generale, sui 5500 dipendenti locali della casa tecnologica, e probabilmente anche su quella persona su cinque che in Irlanda lavora per multinazionali, quasi tutte americane, che si stabiliscono nel paese proprio per la politica fiscale in vigore. Secondo Seamus Coffey, economista allo University College Cork, l’impatto sul Pil irlandese delle imposte che Apple sarebbe tenuta a versare avrebbe portato addirittura a un tasso di crescita annuo tra il 6% e l’8%! Cifre che incuriosiscono ancora di più rispetto alla decisione dello stato rispetto a una tale prospettiva.
Non sarà un caso dunque che anche il presidente Barack Obama voglia discuterne al G20, sicuramente in termini di politiche fiscali internazionali, ma un certo impatto si farà sentire in Commissione, e si sa, che da oltreoceano gli influssi fanno in fretta ad arrivare anche al nostro Bel Paese.
Le ricadute future per Dublino in termini di attrattività potrebbero essere molte, soprattutto perché il contributo degli investimenti delle multinazionali che decidono di stabilirsi qui è stato decisivo per la ripresa dell’isola da una grave crisi economica. Era solo il 2010 quando l’Irlanda fu costretta a chiedere un piano di aiuti internazionali da più di 60 miliardi di euro. E questo alimenta i dubbi quanto le percentuali di Coffey.

ELEONORA AVERNA
GDTO

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