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FABRIZIO GATTI. BILAL “viaggiare, lavorare, morire da clandestini”



Il più grande nemico della conoscenza non è l’ignoranza ma l’illusione della conoscenza”.
Stephen Hawking

In un periodo in cui i programmi TV, i giornali e le piazze delle città sono invase da persone che gridano all’invasione degli immigrati, questa frase di Stephen Hawking non poteva essere più azzeccata.
Perché in molti, in troppi, parlano di questo tema senza sapere e senza poter neanche immaginare cosa significhi lasciare tutto e affrontare un deserto, i terroristi, i governi corrotti e un mare impietoso affidandosi soltanto alla speranza.
Fabrizio Gatti in BILAL cerca di spiegare proprio questo. Ma cerca di spiegarlo non come un giornalista di fronte ad una notizia qualsiasi ma come quelle persone che vivono sulla propria pelle questa esperienza drammatica.
Quelle persone che magari vediamo, senza accorgercene, vendere borse contraffatte per strada, e che superiamo con sufficienza senza considerare perché abbiano intrapreso un viaggio così difficile.
Un viaggio che parte da Dakar, capitale del Senegal, per giungere, dopo aver attraversato il Mali, il Sahara, il Niger con il deserto del Ténéré e la Libia, fino alle coste italiane di Lampedusa.
Un viaggio intrapreso anche da Gatti, con lo pseudonimo di Bilal, come un uomo qualunque, senza il privilegio di un passaporto europeo (con tutte le garanzie ad esso collegate) o della carta di credito.
Un viaggio che dà voce a chi l’ha persa nel deserto o nel Mediterraneo. Ma anche a chi, sopravvissuto, viene trattato come una minaccia e denigrato.

Per cui se vi interessa il tema, e non vi limitate a prendere per vere le affermazioni di chi critica senza sapere, questo libro fa per voi.

Buona lettura

Stefano Varesio

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