Passa ai contenuti principali

I progressisti siamo noi





Campo Progressista vuole unire, ma porterà alla solita frammentazione, che pare irrinunciabile alla Sinistra per potersi definire tale.

Oggi parliamo di Campo Progressista, iniziativa politica che vanta un padre fondatore politicamente e umanamente molto stimato in Italia (e anche dal sottoscritto): Giuliano Pisapia.
A differenza di quanto farei con Pisapia, l’opinione che posso fornire sulla sua iniziativa è poco lusinghiera. Prima di tutto, perché l’opinione si forma, cioè si modella in contorni reali, attorno ad elementi concreti. E già dalle interviste rilasciate alla stampa su Campo Progressista dai diretti interessati poco si può evincere sulla natura di quello che non vuole definirsi né un partito, né un movimento, ma una “forza”. Una Forza. Mettiamo una maiuscola dove non si dovrebbe, ed è subito Guerre Stellari.
Si vociferava di un possibile atto fondativo, previsto in una riunione del 22 gennaio. Tutto smentito, pare che di questa riunione i membri e simpatizzanti di Campo Progressista mai avessero parlato e che fosse frutto della fantasia di qualche giornalista. O, con più forte margine di probabilità, delle indiscrezioni di qualche aderente fortemente confuso sullo stato dell’arte di questa “forza”. Ora, però, l’idea è rispuntata e pare dovremo attendere una riunione a Roma, l’11 marzo, per capirci qualcosa.
E lo spiazzamento di pubblica opinione e aderenti è comprensibile: dopo aver fatto lavorare la Macchina di Turing sulle dichiarazioni-Enigma disponibili, viene fuori che questo soggetto politico vuole affiancare il Pd, ma non fare da stampella per le elezioni (anche se prima di parlare di stampelle elettorali, converrebbe capire quando e in che condizioni le elezioni si terranno, perché l’attuale premio di lista vanifica in partenza qualsiasi sforzo Pisapia possa fare); vuole unire le forze progressiste, ma al contempo ha già provveduto a spaccare Sinistra italiana, a indispettire la minoranza Pd e ha lasciato abbastanza margine di parola sul nulla, di modo che già qualcuno abbia potuto immaginarsi la Boldrini sfidante congressuale di Matteo Renzi per parte di Campo Progressista.

Prendiamo ora singolarmente alcuni punti sopra elencati: Campo Progressista unisce talmente bene, da riuscire nel singolare compito di dividere Si a poca distanza dal Congresso fondativo. L’ala radicale, con Fratoianni capofila, ha solennemente e stizzosamente respinto qualsiasi avvicinamento al Pd e ha accusato Pisapia di voler solo competere a un Congresso del centro-sinistra per perdere, ma perdere bene. Quel tipo di sconfitta che nella Sinistra conosciamo e che porta poi gli “onorabili sconfitti” alla Corte Costituzionale, o magari in qualche Ministero. Nello specifico, chi accusa Pisapia già lo vede a sua insaputa alla Giustizia (ci mettessero almeno fantasia, e gli cambiassero dicastero). E chi lo dice si da, così, implicitamente, già per sconfitto alle sempre ipotetiche elezioni contro di noi. Ottima comunicazione politica.
In ogni caso queste sono accuse che sarebbero plausibilissime, se solo non fossero rivolte, con astio e falsa sicumera, alla persona di Giuliano Pisapia.
E l’astio deriva dal fatto che l’ala meno radicale di Si già sta aprendo e trasmigrando, in alcuni casi, a Campo Progressista e consequenzialmente (forse che non l’abbiano capito?) a noi, gli odiati Dem. Qualcuno, come Scotto, riesce nella mirabile impresa semantica di formulare una frase di apertura e chiusura al tempo stesso: si ad una apertura al Pd, ma non quello di Renzi.
Guardiamo adesso alla minoranza Pd. Pare che il Campo non dispiaccia a Matteo Renzi, che spera si concretizzi e tolga argomenti alla minoranza in un futuro confronto, che sia al Congresso o alle Primarie “veloci”. Veloci e illegittime, stando al nostro Statuto, che vuole che senza Congresso non si possano prevedere Primarie. Fortunatamente, le Primarie veloci paiono essere scaturite da una repentina insufficienza d’ossigeno del nostro Segretario, che ora non le menziona più.
Come di tutto questo se ne è accorto Renzi, comunque, se ne è accorta anche la minoranza, che ha salutato freddamente il preventivo costituirsi della nostra mistica Forza in esame.

Che cosa vuole Campo Progressista? Il progresso di chi? Certo non del nostro partito, che si troverebbe con un nuovo soggetto a premere al suo esterno. E può un soggetto, che vuole affiancare (e non si sa bene come) il partito e invece già lo divide e danneggia, fare il bene del Paese?
Progressista? Siamo già noi i progressisti e non ci servono altri dall’esterno per ricordarcelo. Se c’è qualcosa da chiarire e risistemare lo facciamo dall’interno, da soli, con un Congresso maturo e definitivo nelle intenzioni. Perché la volontà politica è la stessa, o non è, se mi è concesso rimaneggiare Rousseau (confidando che a nessuno venga prima in mente la piattaforma dei Cinquestelle). Non abbiamo ancora capito noi stessi cosa sarà del partito, e dobbiamo contestualmente cimentarci in un impegnativo dialogo programmatico con delle non meglio definite “forze progressiste” alla nostra sinistra? Se questo Campo Progressista intende le cose come le intende il Partito Democratico, perché ricercare una alterità da esso? E se le intende diversamente, è saggio accostarsi?

Come se non bastasse quanto detto, quello che mi sembra emergere con prepotenza da questa vicenda, è una concezione del corpo elettorale antica. I movimenti del corpo elettorale sono ancora interamente interpretati in chiave correntizia, come facessero tutti parte di una disciplinata base di partito: ho delle figure politiche di spicco, con un seguito personale corposo, talvolta conquistato con qualcuno dei celebri “assalti alla diligenza” alla Legge di Bilancio, dove inserisco mancette elettorali per il mio territorio di riferimento. Se sposto le personalità, dunque, le raggruppo in un progetto, sposto l’elettorato. Non è più così, o meglio, non funziona più esclusivamente in questo modo e la prova è il M5s, che ha subìto una serie impressionante di defezioni ed espulsioni arbitrarie di membri anche di rilievo, ma non cala nei sondaggi, anzi cresce.
E per adesso, al contrario, Pisapia sembra proprio voler rincorrere i singoli amministratori, le singole personalità politiche, nell’intenzione di smuovere quella parte dell’elettorato che non vota più proprio in conseguenza del vecchio pensiero politico, della frammentazione partitica e d’intenti, dell’immobilismo programmatico dovuto alla asfissia da idee contrastanti, cacciate a forza nello stesso contenitore politico.

Giuliano Pisapia pensa di riunire la galassia a sinistra del Pd; Sinistra italiana vuole essere la sinistra delle sinistre (?) per andare a perdere da sola, e l’ambìto titolo se lo deve pure giocare con i comunisti e i socialisti; la minoranza Pd parla di scissione, prima dal Partito, poi entro sé stessa e a quel punto, quando saranno rimasti in numero negativo, punteranno a ricostruire l’Ulivo, talmente plurale da raccattare anche chi lo alla fine lo condurrà alla morte (Prodi docet, due volte).

Ci ritroviamo a parlare ancora delle stesse cose di sempre, in un loop della ragione che porta nuovamente la Sinistra alla condizione di impossibilità di analizzare il reale tramite la razionalità, circolo vizioso che la costringe nella dimensione della rinuncia al giudizio e, quindi, rinuncia della scelta: l’afasia degli scettici greci.

Non sono scollato dalla realtà al punto da pensare che le coalizioni non servano mai. Il problema è che l’identificarsi sotto la definizione di “sinistra” non significa per forza compatibilità, esattamente come a destra anni fa il Partito Liberale di Ricossa non sarebbe stato compatibile con Almirante.
L'Italia è il paese che si perde sempre nei vuoti discorsi di politologia partitica, identificando la Sinistra con l'analisi perenne dei problemi e mai la decisione. Una sinistra sempre dottrinaria, dogmatica.
È il paese dell'arroganza, dove chiunque un giorno si sveglia e decide che, se nessuno lo ascolta, il problema sono i suoi compagni di viaggio, dunque meglio mettersi in proprio, fondare "esperienze" politiche nuove, ma con assetti sempre rigorosamente stantii.
Le uniche cose che servono sono comunanza forte di intenti e un deciso pragmatismo: la prima manca tra noi e grossa parte della sinistra-sinistra, il secondo manca a Campo Progressista, volatile al punto da non trovare definizione.


Simone Bigi
GDTO

Commenti