Passa ai contenuti principali

Agromafie e caporalato: un attentato ai diritti umani





Molto spesso, nei vari telegiornali, si citano notizie riguardanti il caporalato e le agromafie, ma la maggior parte delle persone non sa nemmeno di cosa si tratti.
Con il termine "caporalato" si indica una forma illegale di reclutamento e organizzazione della manodopera, in modo particolare quella agricola, attraverso intermediari - i caporali – che assumono operai giornalieri per conto dell’imprenditore, percependo una tangente, al di fuori dei normali canali di collocamento e senza rispettare le tariffe contrattuali sui minimi salariali e le condizioni lavorative. Molte operazioni di contrasto sono state portate a termine in tutta la penisola, ad esempio l’operazione compiuta nell’ambito della Direttiva del Ministro dell’interno denominata “Focus” e messa in atto il 23 marzo 2016 nei territori di Bianco, Bovalino e Benestare, a Reggio Calabria.
Per "agromafia" si intende ogni genere di attività illegale operata dalle organizzazioni criminali di stampo mafioso, che coinvolge il mondo dell’agricoltura e la filiera alimentare. L’obiettivo qui è di investire denaro accumulato in modo illecito all’interno di settori “puliti”, quali l’agricoltura, la ristorazione e la grande distribuzione.
Riguardo alla condizione dei lavoratori si può dire che il tema del lavoro irregolare e del caporalato è una piaga che, nonostante gli interventi normativi nel corso degli anni, non si è ancora riusciti a debellare. Nel nostro sistema giuridico gli strumenti a tutela di questi lavoratori ci sono. Reato, infatti, quello di intermediazione illecita e somministrazione illecita del lavoro, punito dall’articolo 603- bis del codice penale e modificato dalla legge 199 del 2016. Questa nuova legge, promulgata il 29 ottobre 2016 ed entrata in vigore il successivo 4 novembre 2016, considera anche  comportamenti che utilizzano lo stato di bisogno in cui si trovano le persone per sfruttarle. Come sanzioni è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza di reato, la confisca dei beni dell’azienda che utilizza questa piaga sociale e multe. Per la prima volta questa norma è stata applicata ieri 5 maggio ed ha portato 14 misure cautelari, 4 arresti domiciliari e 8 persone sottoposte ad obbligo di dimora.
I lavoratori impiegati dai caporali, secondo i dati della Coldiretti, percepiscono un salario giornaliero inferiore di circa il 50% di quello previsto dai contratti nazionali e provinciali di lavoro.
In base ai dati pervenuti da uno studio condotto dalla Flai Cgil, questi soggetti vengono retribuiti con un massimo di 40 euro al giorno, svolgendo un orario giornaliero che va dalle 10 alle 12 ore. A questo salario poi, vengono sottratti 5 euro giornalieri per il viaggio verso il luogo di lavoro, 1 euro per la bottiglietta d’acqua, 3 euro e 50 per il pasto e circa 250 euro al mese per l’affitto dell’alloggio, che molto spesso è fatiscente ed in cui vivono ammassate anche 20 persone.
Il lavoro sommerso ed il caporalato sono un problema non solo per lo Stato ma anche per le imprese agricole in regola con gli adempimenti previsti dalle normative in vigore.
Molte aziende agricole prendono accordi o sono già legate ad aziende di trasporti a loro volta appartenenti alla criminalità organizzata, perché i clan, spesso, costringono i commercianti in canali predeterminati, privandoli della possibilità di scelta e ledendo il sistema della libera concorrenza.
Il controllo da parte delle organizzazioni mafiose delle rotte dei tir che trasportano frutta e verdura è documentato in molte indagini come l’inchiesta condotta dalla DIA di Napoli detta “Sud Pontino” del 2010, in cui si è scoperto come molti clan di comune accordo si spartissero i viaggi dei prodotti sia del Sud che del Nord.
Altra conseguenza del caporalato e delle agromafie è la contraffazione dei prodotti alimentari. I consumatori sono ignari di assumere un prodotto contraffatto e questo mette in serio pericolo la loro salute, dato che questi  vengono realizzati con materie prime scadenti.
In alcuni laboratori della Calabria si è sperimentata una tecnica molto innovativa per stabilire la freschezza del prodotto. Questa tecnica si basa sull’utilizzo della risonanza magnetica, che consente di ottenere informazioni sul profilo metabolico dei campioni esaminati, sia in soluzione che allo stato solido, per definire la qualità e la conservazione dei prodotti.
Questi due fenomeni sono un problema sociale che può essere sconfitto solo mediante l’informazione, perciò è giusto che i mass media pongano maggiore attenzione su questi temi, cercando di spiegare alla popolazione dettagliatamente quali problemi comportino.

Francesca Rizzo
GDTO


Commenti