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Quale scusa abbiamo, noi?

Lungi da me paragonare lo sterminio avvenuto per mano nazista durante la seconda guerra mondiale con la situazione dei campi profughi odierni: chi ha qualche nozione storica e un minimo di informazioni riguardo la situazione attuale sa che le due situazioni sono diverse. 
Ma una riflessione mi sorge spontanea. Nel Giorno della memoria, ho letto post (di amici e non) in cui la frase per non dimenticare è quella più usata. Già, non dobbiamo dimenticare. Ma non è che lo abbiamo già fatto?
Le guerre di oggi portano uomini donne  bambini ad affrontare viaggi disumani, pericolosi, costosi, senza sapere se arriveranno alla meta. Ma quale meta? Per migliaia di migranti le rotte si interrompono al confine, in Paesi che non conoscono e che non sono il luogo che vorrebbero raggiungere, in condizioni disumane.

Forse, dico forse, umanamente simili a quelle di chi ha vissuto la Shoah. Certo non uguali, ribadisco la sostanziale differenza tra la storia che ha portato all'Olocausto e quella odierna. Ma c'è la stessa paura dell'ignoto. La paura di un futuro su cui non si ha più controllo. Il senso di abbandono. 
All'epoca, pochi o nessuno sapeva cosa succedesse là dentro. Molti neanche sapevano che esistessero posti come Auschwitz. 
Noi invece sappiamo che la situazione è questa. Noi sappiamo, e nonostante questo continuiamo scrivere per non dimenticare. Forse non abbiamo dimenticato, ma mi chiedo: abbiamo imparato? Noi cittadini (io per prima), i governi, figli e nipoti di chi ha passato una vita a far si che il ricordo rimanesse vivo, cosa abbiamo imparato? Non è una domanda fine a sé stessa, è una domanda a cui però non so trovare risposta.
E quando un giorno, quando tutto sarà finito, arriveranno i nostri figli e nipoti a chiederci di raccontargli di questi anni, quando studieranno sui libri di storia tutto questo, e chiederanno "perché non avete fatto niente?" cosa risponderemo? Chi ha vissuto durante la guerra ha detto "non lo sapevamo". Noi che scusa useremo? 

di Chiara Orlandi

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